La storia Catherine Bertone è avvenurosa sin da quando ha mosso i primi passi. Nata a Bursa, in Turchia, nel 1972 perché il papà torinese lavorava per la sezione estera della Fiat, ha poi passato l’infanzia a Belo Horizonte, in Brasile. La mamma è francese di Saint-Malo, Bretagna. Il ritorno in Italia a 8 anni. A Torino la laurea in medicina con specializzazione in malattie infettive e tesi preparata a Parigi. Oggi lavora nel primo soccorso pediatrico all’ospedale di Aosta, dopo essere stata anche a Biella dove ha conosciuto il marito Gabriele Beltrami. E’ stato proprio lui a spingerla a riprendere quell’attività agonistica che aveva praticato come mezzofondista da ragazza. Una volta intrapresi gli studi universitari, le gare le aveva accantonate. Non la corsa per, visto che per anni al lavoro in ospedale ci è andata correndo. Prima di iniziare a correre seriamante, cosa che è avvenuta a partire dal 2011, si allenava a sensazioni, soprattutto nel tragitto per andare a lavoro.
«L’età è una questione fisica, ma anche mentale – ribadisce l’atleta piemontese -. L’importante è dormire bene e avere la testa a posto. Qualche rimpianto per non aver iniziato prima? Assolutamente no. Non ho alcun rimpianto di non aver fatto l’atleta professionista a tutto tondo. Quando ero più giovane lo erano anche le mie bambine (adesso hanno 9 e 12 anni, ndr). Le energie mentali non cambiano, quelle fisiche sì. A Berlino nel 2011, ad esempio, avevo corso in 2 ore e 36 perché stavo ancora allattando la più piccola. Sei anni dopo ho impiegato 8 minuti di meno a coprire i 42 chilometri». Che tradotto significa che si vince con la testa prima che con il corpo.
Ora qualcuno azzarda a domandarle se sta già pensando ai Giochi di Tokyo 2020. Lei serafica sorride: «Da parte mia non mi pongo alcun tipo di limite, anche perché a quello ci pensa già la vita. Mi piace andare avanti a piccoli passi, un traguardo dopo l’altro».
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