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Il lato oscuro del codice sugli omicidi stradali: giudice torinese chiede che intervenga la Corte costituzionale

TORINO. Il 22 aprile 2016, a Moncalieri (Torino), una automobilista investe un’anziana che attraversa la strada e che, rimanendo ferita, rimane convalescente sessanta giorni. Nel capo d’accusa, la stessa Procura della Repubblica prende atto di un concorso di colpa, in quanto entrambe si sono mosse in un momento in cui il semaforo era rosso in tutte le direzioni. A proporre al giudice di rivolgersi alla Consulta è l’avvocato difensore, Riccardo Salomone.
La legge sull’omicidio stradale quindi finisce sul banco degli imputati, poiché esistono dubbi di legittimità in almeno un paio di passaggi: trattamento sanzionatorio troppo severo, automatismi che nell’ordinamento italiano non dovrebbero esistere. Il giudice del tribunale di Torino, Modestino Villani, della sesta sezione penale, decide di chiedere alla Corte Costituzionale di sciogliere i nodi, sospendendo il processo per il caso di lesioni.
I cosiddetti “reati da incidenti stradali” sono entrati nel codice con la legge 41 del 2016. Si prevedono il carcere fino a diciotto anni per la morte di più persone e l’arresto obbligatorio in flagranza per chi causa una tragedia sotto l’effetto di droga o alcol. A parere del giudice, però, si nascondono delle improprietà  tra le pieghe della norma. Si parla innanzitutto dell’articolo 590 bis sulle “lesioni personali stradali gravi”. «Il problema è che a differenza delle altre fattispecie di reato non è permesso un bilanciamento fra circostanze attenuanti e aggravanti. Significa che, se c’è un concorso di colpa, il calcolo parte da un minimo di nove mesi di reclusione, mentre se si seguisse la regola generale si dovrebbe partire da 45 giorni. Comprendo la severità, ma questo è arbitrario, sproporzionato, irragionevole. Le pene aumentano fino a 12 volte persino se la percentuale di responsabilità dell’imputato è bassissima», spiega Salomone.
Il secondo punto riguarda una sanzione amministrativa: la revoca della patente. Con il corollario che bisogna aspettare almeno cinque anni per chiedere di rifare l’esame di guida. «È previsto – afferma Salomone – che il provvedimento scatti dopo qualsiasi condanna, e addirittura in caso di patteggiamento, qualunque sia la gravità della condotta e dell’infrazione. Il giudice non ha il potere di intervenire con gradualità. È un automatismo. Ma il nostro ordinamento rifugge dagli automatismi». Una questione analoga di legittimità era già stata sollevata da un gip del tribunale di Roma nel maggio del 2017.
Nel frattempo il gup di Milano ha condannato a sei anni e sei mesi di carcere, e la revoca della patente a vita, un uomo di 45 anni finito in carcere il 27 gennaio scorso per avere, da ubriaco, con la patente sospesa e la macchina non assicurata, travolto e ucciso con il suo suv Sandro Orlandi, pensionato di 88 anni, senza prestargli soccorso. Il legale di parte civile, l’avvocato Domenico Musicco, anche presidente dell’associazione “Vittime incidenti stradali, sul lavoro e malasanità”, ha evidenziato che la revoca della patente a vita, o ergastolo della patente, appare soddisfacente.

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