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Addio a Beppe Sangiorgio, raccontò per 30 anni la vita politica torinese

TORINO. Beppe Sangiorgio, 76 anni, giornalista delle vecchia scuola torinese non c’è più. E’ mancato ieri ad Andora, in Liguria, dove stava trascorrendo un periodo di vacanza con la moglie e i nipoti. A stroncarlo è stato un infarto, di quelli che non ti danno modo di combattere. Nessun segnale premonitore. Io che con Beppe avevo lavorato per anni e di cui ero diventato amico, sono certo che se avesse saputo il giorno prima che stava per arrivare “la donna con la falce”, con la solita ironia mi avrebbe detto: «Inutile sfidarla a scacchi, sarebbe una sfida impari». E avrebbe ricordato qualche scena del film  “Il settimo sigillo” di Ingmar Bergman che aveva visto al cinema quand’era un ragazzino. Come quella in cui la morte vince la partita con Antonius e gli concede ancora qualche ora di vita per raggiungere il castello, ricongiungersi con la moglie e gustare un ultimo banchetto con i compagni di viaggio: il fido scudiero, la cuoca, un fabbro e sua moglie. Prima che la morte venga a prenderli, senza più concedere sconti.

Sangiorgio, “Sangiu” per i colleghi e per gli amici, è stato testimone per  trent’anni di quanto accadeva nei palazzi torinesi. Quelli che contano, in particolare della politica. Istituzionale da un lato e partitica dall’altro. Era cresciuto nell’ambito del movimento giovanile della Democrazia Cristiana. Aveva imparato i segreti del compromesso, del dialogo, della comunicazione. E alla fine aveva scelto di fare il giornalista. Era entrato nella redazione della storica Gazzetta del Popolo, dove fior di direttori si erano succeduti ed avevano fatto scuola. Non soltanto a Torino, ma in tutta Italia. Era il periodo del boom economico, quegli Anni Settanta in cui sembrava tutto facile, a portata di mano. Di quelle lotte aperte fra le segreterie di partito, fatte di scontri talvolta anche accesi, aveva scritto “Sangiu”. Sempre pronto a carpire i segreti delle segreterie di questo o quell’altra compagine politica. E aveva seguito le amministrazioni di sinistra, così come quelle appoggiate dal pentapartito. Dalla Gazzetta del popolo era passato alla Stampa, alle dipendenze dello storico capocronista Ferruccio Borio. Centinaia di articoli a raccontare quanto accadeva in Consiglio comunale, ma soprattutto nella buvette (che oggi non esiste più) dove tra una chiacchiera e l’altra riusciva a ricostruire il perchè di certe dinamiche politiche, il perché di certe scelte.  Sino alla meritata pensione, arrivata nel 2004.

L’ultimo saluto martedì a Candia Canavese, dove si svolgeranno le esequie. Ciao “Sangiu” mancheranno a noi sopravvissuti le nottate consumate davanti a una birra a tirar tardi, “cazzeggiando” un po’ per stemperare le tensioni lavorative. Altri tempi di un giornalismo che, come ricordava soltanto qualche giorno fa Enrico Mentana, non torneranno più.

(La foto è tratta dal sito web de La Stampa)

Piero Abrate

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