Un grande baritono di inizi Novecento: il monregalese Domenico Viglione Borghese
Il baritono Domenico Viglione Borghese nacque nel rione Piazza di Mondovì (in provincia di Cuneo) il 13 luglio 1877, da Pietro Viglione e Caterina Borghese. Studiò canto dapprima a Milano, frequentando contemporaneamente la facoltà di veterinaria, poi abbandonata per potersi dedicare totalmente al canto. Passò quindi al Conservatorio “G. Rossini” di Pesaro, diretto da Pietro Mascagni, nella classe di L. Leonese e infine si perfezionò a Roma con il baritono Antonio Cotogni.
Aggiungendo il cognome della prediletta madre a quello del padre, debuttò nel dicembre 1899 come Araldo nel Lohengrin di Wagner a Lodi. Seguirono due anni di attività in teatri italiani, riprendendo tra l’altro il Lohengrin al Teatro Brunetti (ora Duse) di Bologna e cantando il Valentino nel Faust di Gounod a Bergamo. Nel 1900 il maestro Cesare Dall’Oglio lo volle al teatro Balbo di Torino per la sua nuova opera Atal Kar.
Scarsamente soddisfatto di quei primi anni di carriera, Viglione Borghese nel 1902 si trasferì negli Stati Uniti, a Filadelfia, dove si dedicò a varie attività, anche di manovalanza. Per fortuna incontrò il celebre tenore Enrico Caruso che, ascoltatolo, lo presentò a Luisa Tetrazzini, che stava cercando un baritono per una tournée in Messico e Sudamerica, per cui il nostro riprese a cantare, molto apprezzato in Rigoletto e Traviata. In seguito si produsse nell’America del sud con la compagnia Scognamiglio. Il successo americano lo convinse a ritornare in Italia e il 10 gennaio 1907 trionfò come Amonasro in Aida al teatro Regio di Parma, dove cantò anche La Wally di Catalani e L’apostata di Pagura (opera che non piacque, interrotta dopo il primo atto tra i fischi del pubblico). Passò poi al Comunale di Bologna (La Wally e Aida) e al Costanzi di Roma (Andrea Chénier, Aida, Tristano e Isotta, La bohème e Lohengrin). Nel 1910 debuttò alla Scala di Milano nell’Africana di Meyerbeer e nel 1911 cantò per la prima volta La Fanciulla del west a Brescia, facendo del personaggio dello Sceriffo il proprio capolavoro d’interprete vocale e drammatico, ammirato dallo stesso Puccini, che lo definì “principe degli Sceriffi”. In questo ruolo trionfò nei più importanti teatri, tra cui il San Carlo di Napoli e l’Opéra di Parigi (1912, con Enrico Caruso), il Liceo di Barcellona (1915), il Regio di Torino (1924), la Scala di Milano (1930), il Regio di Parma (1938), l’Opera di Roma (1940).
Nel 1912 sposò Claudia Nappi, figlia del noto e severo critico musicale del quotidiano milanese “La Perseveranza” Giovanni Battista Nappi. Nel 1913 al Carlo Felice di Genova cantò nella prima de I gioielli della Madonna di Wolf-Ferrari e nel 1914 partecipò alla seconda stagione lirica all’Arena di Verona come Escamillo in Carmen. Seguirono esecuzioni di Manon Lescaut a Parigi, della Sposa di Corinto di Canonica a Roma (prima assoluta diretta da Tullio Serafin), del Tabarro e di Gianni Schicchi a Napoli, di Aida a Parma. Nel 1919 partecipò per l’unica volta alla stagione del Colòn di Buenos Aires in Loreley di Catalani, seguita da Il tabarro, Tosca, La Gioconda (con Beniamino Gigli ed Ester Mazzoleni), Aida (con Claudia Muzio e Rinaldo Grassi), Madame Sans Gêne di Giordano e La bohème. Nel 1923 fu Scarpia in Tosca al Regio di Torino, teatro dove tornò nel ’24 in Fanciulla del west, nel ’25 ne Il gallo d’oro di Rimski-Korsakov e in Rigoletto, nel ’26 ne La cena delle beffe di Giordano, in Falstaff e in Parsifal.
Tra il 1931 e il 1936 abbandonò le scene per dedicarsi alla gestione di un’azienda agricola, che si rivelò fallimentare. Riprese quindi alcune recite del suo prediletto Sceriffo pucciniano a Milano, Bologna, Genova, Brescia, chiudendo la carriera, proprio con la Fanciulla del west, nel 1940 all’Opera di Roma, a fianco di Giuseppe Lugo e Franca Somigli.
Dal 1941, per un decennio, partecipò, come attore caratterista, a una ventina di pellicole cinematografiche (tra cui Piccolo mondo antico di Mario Soldati, Giacomo l’idealista e Il mulino del Po di Alberto Lattuada, Il cielo sulla palude sulla vita di Maria Goretti). Scrisse anche il volume di memorie Due ore di buonumore. Morì in una clinica di Milano il 26 ottobre 1957 e fu sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero di Mondovì.
La città natale gli ha dedicato il Premio “Opera-Città di Mondovì” e gli ha intitolato una via nel rione di Piazza, a poca distanza dalla casa dove il baritono viveva in via Vico.
Viglione Borghese registrò numerose arie del suo repertorio, che testimoniano l’unicità della sua voce, particolarmente potente e dalla dizione incisiva.
Bruno Baudissone