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Personaggi: Renato il Gran Bastardo di Savoia (1468-1525)

Percorrendo le vie porticate del centro storico di Carignano, città adagiata nella fertile pianura a sud di Torino, si possono ammirare numerose architetture medievali e barocche, sia civili che religiose: tra queste risalta, per l’eleganza delle decorazioni in cotto della facciata, la trecentesca casa di Renato di Savoia, che oggi ospita un bed and breakfast.

L’intitolazione dell’edificio richiama il personaggio che ne fu, secondo studiosi locali, l’antico proprietario, Renato di Savoia detto il Gran Bastardo, capostipite del ramo dei Savoia-Villars (indicato anche come Savoia-Tenda), un uomo dalla vita avventurosa, segnata da successi politici e glorie militari, ma anche da profonde delusioni maturate nell’ambito famigliare. Renato nacque nel 1468 da una relazione di Filippo di Bresse, che sarebbe divenuto nel 1496 duca di Savoia come Filippo II, con Libera Portoneri, appartenente a una facoltosa famiglia di Carignano.

Il padre di Renato, Filippo di Bresse, merita una breve presentazione. Ricordato anche con l’appellativo di Senza Terra perché fino a tarda età, come riporta lo storico di corte Filiberto Pingone, non ebbe terre in appannaggio (o, per meglio dire, i territori su cui vantava diritti, essendo conte di Beaugè e signore della Bresse, non gli garantivano le relative rendite, date le ristrettezze finanziarie in cui si dibatteva al tempo il Ducato), l’ambizioso Filippo, figlio di Ludovico di Savoia e Anna di Lusignano (detta anche Anna di Cipro), descritto nelle fonti come irrequieto e a tratti brutale negli atteggiamenti, dovette brigare a lungo per far valere presso la cognata, Jolanda di Valois, sposa del duca di Savoia Amedeo IX e per un certo periodo reggente del Ducato, il proprio diritto a compartecipare alla gestione del potere.

Il Senza Terra, che si destreggiò per anni tra rivolte, complotti e tradimenti, su un palcoscenico europeo dominato dall’ascesa della monarchia nazionale francese, desiderosa di piegare ai propri disegni espansionistici gli antichi Stati di Borgogna e Savoia, vide concretizzarsi le aspirazioni per molti anni coltivate solo nel 1496 quando, alla morte del nipote Carlo Giovanni Amedeo, divenne duca di Savoia con il numerale di Filippo II. Diede così inizio al cosiddetto “Secondo Ramo Ducale” della dinastia sabauda, noto anche come Ramo della Bressa (o Branca di Bresse), che si estinse nel 1831 con la morte dell’ultimo discendente, re Carlo Felice, morto nel 1831.

I portici di Carignano: qui troviamo la casa del Gran Bastardo

Dunque, dal legame tra il giovane ed energico Filippo e la bella carignanese Libera Portoneri, esponente d’una ricca famiglia locale, insignita anche della signoria di Cavoretto, nacque Renato, che si guadagnò, per la sua condizione di figlio naturale, poi legittimato nel 1497 e investito della contea di Villars, l’appellativo di Gran Bastardo. Il soprannome, privo di connotazioni spregiative, indicava semplicemente la nascita fuori dal matrimonio. Tale condizione si rifletteva a livello araldico nell’aggiunta di un particolare tipo di brisura, elemento grafico che serviva a “spezzare” l’arme di famiglia per distinguerne i rami: segno distintivo di bastardigia poteva essere il semplice “contrafiletto” o “filetto di bastardigia”, sbarra di colore nero diminuita in larghezza di un quinto rispetto all’ordinario che attraversa in diagonale il blasone, scendendo da destra a sinistra.      

Nell’apparato iconografico del palazzo di Renato a Carignano compare però, nella decorazione in cotto delle fasce marcapiano, l’arme dei Savoia-Acaia, con la croce sabauda e la banda che scende in diagonale da sinistra a destra: si è quindi ipotizzata una destinazione del palazzo, appartenuto per un certo periodo a Renato, a funzioni governative durante il governo degli Acaia, anche se alcuni collegano questa aggiunta ai lavori di restauro realizzati nell’Ottocento sotto la regia di Alfredo d’Andrade, che fece riprodurre l’edificio nel Borgo Medievale di Torino.

Chiesa di Nostra Signora delle Grazie, luogo di sepoltura di Libera Portoneri

Anche di Libera Portoneri, madre di Renato, troviamo memoria negli itinerari storico-artistici alla scoperta dell’antica Carignano: all’angolo con l’attuale piazza San Giovanni, anticamente designata come piazza delle Erbe, perché vi si teneva il mercato degli ortaggi, fa bella mostra di sé il palazzo appartenuto ai Portoneri, che conserva una finestra gotica e una fascia marcapiano in cotto, mentre nel presbiterio della chiesa di Nostra Signora delle Grazie, fondata nel primo Seicento dagli Agostiniani (per questo chiamata anche di Sant’Agostino), si trova la sepoltura della nobildonna, qui traslata dall’originaria chiesa conventuale di Sant’Agostino, costruita fuori le mura e demolita nel 1544 durante l’assedio francese nel timore che potesse offrire riparo ai nemici. Adorna di un busto in marmo bianco scolpito a bassorilievo e dall’arme della famiglia Portoneri, la lastra sepolcrale di Libera venne collocata proprio sotto la lapide della duchessa Bianca di Monferrato, che sposò il duca Carlo I di Savoia nel 1485.    

Dalle fonti a nostra disposizione risulta che il piccolo Renato venne allevato alla corte milanese degli Sforza, affidato alle cure di Bona di Savoia, al tempo reggente del Ducato in quanto vedova di Galeazzo Maria Sforza. Era infatti consuetudine nelle corti che i figli naturali, nati fuori dal matrimonio ma riconosciuti, godessero di sostegni e cure al pari dei figli legittimi e avessero modo di far carriera in ambito politico o militare. Dopo aver seguito il padre Filippo in missioni diplomatiche in Austria e Francia, Renato fece rientro in patria durante la reggenza di Bona di Monferrato, vedova del duca Carlo I.

Con l’ascesa al potere del padre, divenuto duca di Savoia nel 1496 come Filippo II, Renato si distinse come suo principale collaboratore, guadagnandosi il diritto, sancito dal testamento paterno, di succedere al titolo ducale in caso di premorte dei figli legittimi di Filippo II e di estinzione dei nipoti da loro discendenti. Proprio con l’elevazione del padre al vertice del Ducato, Renato prese a definirsi non più come “le bâtard de Bresse” bensì come “le bâtard de Savoie”, passando dunque alla storia con l’appellativo di Gran Bastardo di Savoia. 

Tale fu la stima acquisita a corte da Renato che nel 1498, morto il padre, venne investito dal nuovo duca Filiberto II della contea di Villars e soprattutto della prestigiosa carica di luogotenente del Ducato, posizione che gli assegnava ampi poteri sui territori sabaudi, contribuendo però negli anni a suscitare nei suoi confronti invidie e forti ostilità.

Lo stemma dei Lascaris, conti di tenda e Ventimiglia

Intanto nel 1501 Renato s’era unito in matrimonio con la quattordicenne Anna Lascaris, figlia del conte di Tenda e Ventimiglia: le nozze con l’esponente d’una importante famiglia comitale, titolare di feudi strategicamente posti a cavaliere delle Alpi, accrebbero il prestigio di Renato che, dopo aver fatto esperienza come governatore del Nizza nel 1498, venne nominato alla carica di governatore di Mondovì. Il matrimonio del fratellastro Filiberto II con Margherita d’Austria, di sentimenti antifrancesi, segnò però il destino di Renato che, spogliato di cariche e feudi e privato della legittimazione, revocata prima dall’imperatore, padre di Margherita, e poi dal duca Filiberto II, poté mantenere solo i territori della contea di Tenda, trovando rifugio e ospitalità presso la corte di Francia.

Accolto benevolmente da re Luigi XII, grazie anche all’intercessione della sorellastra Luisa di Savoia, moglie di Carlo di Valois e madre del futuro re Francesco I, Renato ebbe modo di mettere a frutto le proprie capacità politiche, suggellate nel 1519 dalla nomina all’ufficio di gran maestro di Francia, voluta dal nipote, Francesco I, e alle cariche di gran siniscalco e governatore di Provenza. 

Incaricato di importanti missioni diplomatiche nei Cantoni elvetici e insignito del collare dell’Ordine di San Michele, Renato di Savoia accompagnò il sovrano francese nelle Guerre d’Italia contro gli imperiali di Carlo V. Fu l’ultima delle sue imprese perchè nel 1525, partecipando all’assedio di Pavia insieme con il figlio Claudio, nominato nel 1520 governatore di Provenza, si espose all’attacco nemico e, nel tentativo di proteggere con il proprio corpo il re di Francia, rimase gravemente ferito.

Caduto prigioniero degli Spagnoli, spirò di lì a poco, forse nella Certosa di Pavia, dov’era stato trasportato, poco prima che sopraggiungesse il figlio Claudio a pagare il riscatto per la sua liberazione. L’eroico gesto di Renato, che rivelava lealtà e devozione verso il sovrano e amico Francesco I, si trova immortalato in un affresco all’interno del Castello del Valentino a Torino.

Per la completa riabilitazione dei discendenti di Renato di Savoia, che già nel 1519 era stato reintegrato in gran parte dei possedimenti in precedenza confiscati, fu invece necessario attendere il 1562 quando Emanuele Filiberto di Savoia, nipote di Renato, con lettere patenti stabilì in favore dei Savoia-Villars (o Savoia-Tenda) il diritto di succedere al titolo ducale in caso di estinzione della linea diretta e in subordine ai duchi di Nemours (Savoia-Nemours).

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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