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Torino noir: gli ultimi giorni della “banda Cavallero” 

La feroce gang di periferia negli anni Sessanta seminò terrore a Torino e Milano, mettendo a segno a ripetizione rocambolesche rapine nelle banche

TORINO. La banda Cavallero è stata una banda criminale formatasi a Torino, e comandata da Pietro Cavallero, che tra l’8 aprile del 1963 e il 25 settembre 1967, mise a segno ben 18 rapine in banca, a Torino, nella cintura torinese, e a Milano. Nel corso delle incursioni criminali, furono uccise sette persone; i feriti furono una trentina. Era formata inizialmente da cinque componenti, ognuno con un preciso ruolo tattico nella conduzione delle rapine, poi ridotti a quattro per la prematura scomparsa di uno dei membri della banda.

Il capo carismatico del gruppo, che elaborava con precisione scientifica il piano di ogni rapina e di ogni azione criminale, era Pietro Cavallero: era nato e cresciuto in Barriera di Milano. Figlio di un falegname, è stato un attivista comunista, con lunghi periodi senza un lavoro fisso, ma era un personaggio dotato di indiscusso ascendente.  Adriano Rovoletto,  figlio di un operaio, apprendista falegname, abitava alle Case SNIA di Corso Vercelli. Ricopriva il ruolo di cassiere della banda.  Sante Notarnicola, di origine pugliese, diploma di quinta elementare, aveva ricoperto il ruolo di segretario della FGCI di Biella, che alternava al lavoro di venditore ambulante di fiori e di facchino.  Poi c’era Donato Lopez (detto Tuccio), di diciassette anni, il più giovane della banda: uno dei sei figli di un operaio meridionale immigrato a Torino, disoccupato.  Danilo Crepaldi, il quinto componente della banda Cavallero, morì in un incidente aereo nel 1966, un anno prima della cattura degli altri componenti dell’associazione a delinquere.

La famigerata banda di rapinatori si costituì a Torino in una piòla di Corso Vercelli, all’estrema Barriera di Milano, dove si ritrovavano spesso persone disoccupate a passare il loro tempo a discutere di politica, di rivendicazioni sociali, giocando a scopone o a tressette, affogando la noia in abbondanti bicchieri di vino. Pietro Cavallero, indiscusso capo carismatico del gruppo, nelle sue deposizioni processuali così come in numerose interviste da lui rilasciate, e nei suoi scritti, ha dichiarato che le sue reiterate rapine in banca, che terrorizzarono Torino, il suo hinterland, e la Milano negli anni Sessanta, erano motivate da un desiderio rivoluzionario di giustizia sociale.

Folla di curiosi milanesi davanti al Banco di Napoli preso di mira dalla banda

La banda Cavallero, in effetti, era fortemente politicizzata, e simpatizzava per le idee di sinistra, ispirandosi a Lenin, ma anche all’anarchia nichilista di Gaetano Bresci e di Ravachol. Le rapine rivoluzionarie della banda Cavallero tennero sotto scatto per diversi anni la polizia, e si tradussero in violente e sanguinarie azioni criminali, organizzate con scientifica precisione. Nel pomeriggio del 25 settembre 1967, però, dopo aver svaligiato l’agenzia n° 11 del Banco di Napoli, in largo Zandonai a Milano, qualcosa va storto per i 4 delinquenti. Irrompe la polizia. Adriano Rovoletto viene fermato con il bottino. Gli altri componenti della banda, vistisi alle strette, si danno alla fuga a bordo di una Fiat 1100 D rubata, dando luogo ad una spericolata gimcana nelle vie di Milano. Sparando all’impazzata sugli inseguitori, seminano terrore e morte. Negli scontri a fuoco, vengono colpiti anche passanti inermi.

Alle quattro del pomeriggio, quando ebbe fine la cruenta sparatoria, si contarono tre morti (Virgilio Oddoni, fattorino di una cartiera; Giorgio Grossi, studente di soli 17 anni; Franco De Rosa, un napoletano emigrato a Milano, colpito mentre era a bordo della sua 600 multipla) ed una dozzina di feriti tra passanti, automobilisti ed agenti. Alcuni risultarono molto gravi. Un paio di giorni dopo la sparatoria, per le ferite riportate, muore anche Roaldo Piva, fattorino, un invalido di guerra ammalato di cuore, che durante il tragico pomeriggio aveva aiutato gli agenti a catturare Rovoletto, il cassiere della banda, che teneva ancora in mano il sacchetto con il bottino della rapina: 6.750.000 lire.

Il processo d’Assise alla banda Cavallero si tenne a Milano nove mesi dopo la cattura dei componenti: Lopez viene condannato, per la sua giovane età, a 12 anni e 7 mesi di reclusione; per gli altri tre rapinatori venne comminato l’ergastolo. Alla lettura della sentenza, gli imputati si alzano in piedi ed intonano la canzone anarchica Figli dell’officina, risalente  nel 1921, anno clou delle rivendicazioni sindacali degli operai torinesi,  di cui qui sotto sono riportate alcune strofe:

Figli dell’officina
o figli della terra
già l’ora s’avvicina
della più giusta guerra,

la guerra proletaria
guerra senza frontiere:
innalzeremo al vento
bandiere rosse e nere.

Avanti, siam ribelli
fieri vendicator
d’un mondo di fratelli
di pace e di lavor.

Dopo diversi anni di reclusione, Pietro Cavallero si dichiara pentito per il suo passato di sanguinario criminale. Durante la sua detenzione nel carcere di Porto Ferraio, pratica la pittura e diventa scrittore. Scarcerato nel 1988, si avvicina attivamente alla fede cattolica e passa il resto della sua vita aiutando gli emarginati presso il Sermig di Torino. Muore di cancro nel gennaio del 1997.

Sante Notarnicola si dichiara invece “detenuto politico”. Quando le Brigate Rosse chiedono allo Stato la scarcerazione di alcuni prigionieri rivoluzionari in cambio della liberazione di Aldo Moro, indicano proprio il nome di Sante Notarnicola tra i primi detenuti politici da liberare.  Tornato libero, Notarnicola si stabilisce a Bologna, dove gestisce un’osteria. In quanto all’autista della banda, Adriano Rovoletto, malato da tempo, muore all’età di 79 anni nel 2015, all’ospedale Cto di Torino.

Dalle imprese criminali della banda Cavallero, sono stati tratti alcuni film, il più noto dei quali è stato Banditi a Milano, di Carlo Lizzani con Gian Maria Volonté nei panni di Cavallero, Don Backy nei panni di Notarnicola, Ray Lovelock in quelli di Lopez, Ezio Sancrotti nel ruolo di Rovoletto e Tomas Milian in quello del commissario Basevi. Numerosi sono stati anche i libri ispirati alle rocambolesche avventure della banda e ai suoi eccentrici componenti.

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