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Amarcord del Novecento: le avventure torinesi di Buffalo Bill

Il grande eroe americano si esibì nel capoluogo piemontese con la sua compagnia di cowboy e indiani, pistoleri e lanciatori di lazo. A lui sono stati dedicati decine di romanzi, film e canzoni. Noto è il brano “Bufalo Bill”, rilanciato negli Anni Sessanta dallo chansonnier torinese Roberto Balocco e che fu scritto a inizio Novecento da un cantautore cieco

TORINO. I più contrappongono la figura di Buffalo Bill a quella di Toro Seduto e dei coraggiosi pellerossa in assetto di guerra. In effetti, nell’immaginario collettivo, il nome di Buffalo Bill rievoca feroci battaglie all’ultimo sangue tra la cavalleria americana da un lato, e migliaia di indiani Cheyenne bramosi di scalpi dall’altro, nell’atto di brandire l’ascia di guerra. Sì, è vero: Buffalo Bill è stato un valoroso e coraggioso soldato, ufficiale dell’Esercito americano, ma divenne ancor più famoso come attore e impresario teatrale, conquistando ben presto una notorietà internazionale.

Intanto non si chiamava così. Il suo vero nome era William Frederick Cody: nacque in un piccolo centro dell’Iowa, in una fattoria, nel 1846. Aveva appena compiuto sette anni quando la sua famiglia dovette trasferirsi nel Kansas: suo padre era un fervido oppositore della schiavitù, e venne assassinato, durante un comizio a sostegno dei suoi princìpi, da un sicario che invece difendeva le posizioni conservatrici, e lo colpì  con un colpo di pugnale. Rimasto orfano a soli quattordici anni, William divenne un corriere a cavallo: consegnava pacchi e missive per conto della Pony Espress. Poi si arruolò nel 7° Cavalleggeri, prendendo parte alla Guerra di Secessione americana, con gli Stati dell’Unione. Durante una sosta in un campo militare di St. Louis, William incontra e sposa un’italo-americana, tal Louisa Frederici, da cui ebbe quattro figli. Poi fu assunto come guida civile dalla Pacific Railway, tra il 1868 e il 1872.

Quando fu incaricato di procacciare riserve di cibo per i carpentieri e gli operai addetti alla costruzione della ferrovia, organizzò una memorabile caccia al bisonte, nel corso della quale si racconta che siano stati uccisi più di 4000 bisonti. Con questa colossale impresa, William si conquistò il soprannome di Buffalo Bill (in Italia fu invece chiamato Bufalo Bill, con una sola “f”). Buffalo è il termine con cui gli americani chiamano i bisonti. Tra il 1873 e il 1883 (salvo alcune interruzioni, perché richiamato nell’Esercito americano) interpretò ruoli teatrali con testi scritti dallo scrittore e giornalista Ned Buntline. Poi si mese in proprio, diventando impresario di se stesso: nel 1883 creò il Buffalo Bill’s Wild West Show, un grandioso spettacolo circense rievocativo di scenari western e di scontri all’ultimo sangue in epiche battaglie, come quella di Little Bighorn, dove perse la vita il generale Custer, con decine e decine di figuranti. Tra gli spettacolari numeri messi in scena, c’erano delle vere sparatorie e spericolate cavalcate acrobatiche, con l’intervento di autentici cowboy e pellerossa, come il capo Sioux Toro Seduto ed Alce Nero. Nel 1890, fu nuovamente richiamato nell’Esercito, e con il grado di colonnello, partecipò a nuove azioni militari contro gli Sioux.

Buffalo Bill venne più volte in Italia: lo fece ad esempio nel 1890, quando fu ricevuto da papa Leone X. Ma è rimasta memorabile la sua ultima tourné italiana, quella del 1906, con decine di indiani e cowboy e un nutrito caravanserraglio al seguito (per la precisione, più di mille tra uomini e donne, di cui 100 pellerossa, e centinaia di cavalli, trasportati su 4 treni speciali).  A Torino si fermò 5 giorni. La troupe piantò le tende in Piazza d’Armi (che a quei tempi era posizionata alla Crocetta, nell’area oggi occupata dal Politecnico).  Il primo spettacolo si tenne il 22 aprile: erano previsti due grandiosi spettacoli circensi ogni giorno, uno con inizio alle ore 14.30, l’altro serale, a partire dalle ore 20.30.

Buffalo Bill in visita ad Alessandria

Fu in quell’occasione che il conte Eugenio Veritas, cantastorie cieco, scrisse la celebre canzone popolare piemontese “Bufalo Bill”, poi rilanciata da Roberto Balocco negli anni Sessanta, che la inserì nel repertorio delle sue canson dla piòla.

Lo spettacolo fu preceduto da una pubblicità senza precedenti, con locandine che promuovevano l’evento definendolo “la più grande rappresentazione istruttiva al mondo”. Grande fu l’afflusso del pubblico: praticamente tutti i torinesi parteciparono allo spettacolo, con grande successo personale di Bufalo Bill e di tutti i figuranti, che fecero breccia nei cuori delle ragazze per il loro fascino americano.

Tonin, ad esempio, il protagonista della citata canzone di Balocco, venne lasciato dalla sua donna proprio perché lei s’era invaghita di un “moreto gentil” (moretto gentile) della troupe di Buffalo Bill. Evidentemente il fascino di quei guitti acrobati, pistoleri e lanciatori di lazo doveva essere davvero irresistibile. Tonin, poveretto, prima si stizzisce e s’ingelosisce, imprecando contro il rivale in amore (definendolo “bitolèt bistichin”, parole gergali dal contenuto oggi un po’ oscuro, ma sicuramente sprezzanti e piene di rancore). Poi si arrende al destino, e si consola ubriacandosi.

Anche il cantautore Francesco De Gregori ha nel suo repertorio una canzone dedicata a questo eroe americano. Di Buffalo Bill, dal canto suo, Emilio Salgari ebbe a scrivere: “Nessun uomo si era guadagnato tanta fama quanto quell’intrepido avventuriero, che incarnava l’antico tipo del vero scorridore e cacciatore di prateria e forse a nessuno più di lui erano toccate tante vicende straordinarie”.

La tourné italiana di Buffalo Bill con tappa a Torino, è rimasta nel mito. Non a caso, a questo personaggio, così straordinario ed entrato nella leggenda, sono stati dedicati film, romanzi e canzoni in ogni epoca. Certi miti infatti non muoiono e si celebrano e si consolidano, rinnovandosi ad ogni generazione.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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