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Un antico formaggio simbolo dell’alta Valle Grana: il Castelmagno

«Il Castelmagno è un formaggio che nasce per caso, quasi per necessità». Con queste parole Evanzio Fiandino, presidente del Consorzio di Tutela Formaggio Castelmagno Dop e titolare del caseificio “Labruna”, nato agli inizi del XIX secolo, sintetizza la storia di questo prodotto caseario la cui fama in questi ultimi decenni ha travalicato i confini regionali, nazionali e quelli del Vecchio continente. Dal latte alla produzione del formaggio finito, tutto all’azienda “Labruna” viene prodotto in “casa”, riprendendo il pensiero di quel Nonno Magno che, alla fondazione dell’attività ormai un secolo fa, produceva “strepitosi formaggi d’alpeggio in una piccola malga”.

Il santuario di San Magno a Castelmagno

Prodotto con il latte vaccino di poche e precise razze bovine, dalla così chiamata “Piemontese” fino alla Barà Pustertaler , il Catelmagno si presenta agli occhi del consumatore con una pasta semidura, una crosta non edibile di colore tendente al giallo-bruna ed un interno bianco-giallo, particolarmente friabile, che, a seconda del periodo di stagionatura, può manifestare rare striature, tendenti dal verde al blu, e dovute all’erborinatura, una tecnica di lavorazione casearia che consente lo sviluppo di muffe del tipo pennicillium nella pasta del formaggio. “L’erborinatura” è un termine che deriva dal vocabolo dialettale lombardo “erborin” e significa prezzemolo: nel Castelmagno si sviluppa naturalmente con la stagionatura senza necessità di inoculo di muffe specifiche.

 «Durante la stagionatura il formaggio viene posto a riposare nelle cantine, tutte con un grado di umidità altissimo, dal 90-95% in sù. Viene rivoltato tutti i giorni, ma non viene mai pulito. Il microclima delle cantine favorisce lo sviluppo di queste muffe nobili che trasmettono parte dell’aroma al formaggio», spiega Fiandino.

La stagionatura del Castelmagno

Prodotto in forme cilindriche che hanno un diametro che può variare dai 15 ai 25 cm e che possono pesare dai 2 ai 7 kg, il Castelmagno si presenta con un sapore inizialmente fine e delicato, ma che diventa più forte e piccante con l’aumentare del periodo di stagionatura.

Un po’ di storia

Parlare delle origini del Castelmagno è parlare dell’inizio di una storia antichissima, di poco posteriore, se non contemporanea, alla storia del Gorgonzola, già conosciuto nel lontano XII secolo.Per quanto non si possano avere prove in tal senso, aldilà delle citazioni documentali, è ipotesi di esperti gastronomi e storici che la produzione del Castelmagno, nella sua forma attuale, sia iniziata nell’anno 1000, e che, da lì fino all’inizio del ‘900, periodo d’inizio della sua decadenza a causa delle grandi guerre e del progressivo spopolamento delle montagne, abbia vissuto un progressivo riconoscimento, comparendo, durante il corso dell’Ottocento, anche in alcuni tra i menù di prestigiosissimi ristoranti Parigini ed Inglesi.

Un piatto tipico della zona: gli gnocchi al Castelmagno

«Che il Castelmagno fosse rinomato anche in tempi molto remoti, lo dimostra il testo di una sentenza arbitrale del 1277, secondo la quale, per l’usufrutto di alcuni pascoli in contestazione fra i Comuni di Castelmagno e di Celle di Macra, si fissava come canone annuo – da pagarsi al Marchese di Saluzzo – una certa quantità di formaggi di Castelmagno, che è presumibile siano stati dello stesso tipo di quelli che si fabbricano attualmente», spiega il sito ufficiale della Provincia di Cuneo.

Con la progressiva decadenza e lo spopolamento della montagna causato dalle Grandi Guerre e dal rinnovato ruolo delle città, negli anni ’60 il Castelmagno ha rischiato seriamente di scomparire. La ripresa produttiva è avvenuta soltanto vent’anni dopo, sostenuta anche dal riconoscimento nazionale DOC ricevuto nel 1982 grazie all’ impegno dell’allora sindaco Gianni De Matteis e, pià tardi nel 1996, dal riconoscimento europeo DOP.

La produzione

Il latte alla base del Castelmagno è il prodotto dell’unione del latte di due differenti mungiture, di cui il primo conservato a bassa temperatura e scremato. Il prodotto viene riscaldato ad una temperatura di circa 30-38°C, e quindi fatte successivamente coagulare con caglio liquido di vitello. Dopo essere stata frantumata alle dimensioni di una nocciola, la cagliata viene lasciata depositare e riposare sotto siero per un tempo di circa 30 minuti. Dopodiché, viene estratta e messa a scolare per 24 ore in appositi teli.

Tagliata a fette, la Cagliata viene immersa in vasche d’acciaio contenenti il siero della lavorazione delle fasi precedenti, e lì lasciata per 2-3 giorni. Tritato, il composto ottenuto viene salato con sale grosso e pressato per 1-2 giorni in fascere di acciao o plastica, così da facilitarne lo spurgo. È in questa delicata fase che viene posto il marchio “d’autenticità” del Castelmagno, in rilievo su ciascuna forma e stampato al centro della caratteristica etichetta blu o verde che ricorda la forma di una croce occitana. È quindi arrivato il momento della stagionatura, che durerà almeno 60 giorni.

Mirco Spadaro

Classe '98, rivolese di nascita, frequenta il corso di Lettere Antiche a Torino, sotto il simbolo della città. Tra viaggi e libri, è innamorato della tecnologia e della scrittura e cerca, tra articoli e post su siti e giornali online, di congiungere queste due passioni, ora nella sua "carriera" come scrittore, ora con il "popolo di internet".

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