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La Beata Panacea de’ Muzzi diventa ufficialmente patrona della Valsesia

Da domenica 10 settembre, giorno della Santa Messa di proclamazione officiata dal vescovo di Novara a Ghemme, la Beata Panacea de’ Muzzi (conosciuta semplicemente come Beata Panacea), vergine e martire, è promossa ufficialmente al ruolo di patrona della Valsesia.

La cerimonia, svoltasi nella parrocchiale di Ghemme dove, all’interno dello Scurolo, cappella-reliquiario a pianta circolare progettata da Alessandro Antonelli, sono conservate le reliquie della Beata, ha sancito formalmente un culto radicato e diffuso da secoli in tutta la Valsesia, come attestano le numerose testimonianze pittoriche sparse in chiese e oratori della valle che ritraggono Panacea (indicata come “Panaxia” o “Panasia”) con i suoi tradizionali attributi iconografici.

La più antica di queste raffigurazioni risale al 1476 e si trova nell’oratorio di San Pantaleone in località Oro di Boccioleto, situata in una diramazione laterale della Valsesia, chiamata Val Sermenza. Gli affreschi, attribuiti al pittore novarese Giovanni de Campo, riproducono a beneficio dei fedeli tre episodi della vita della beata Panacea: l’opera caritatevole di distribuzione del pane ai poveri, l’aggressione ad opera della matrigna mentre la giovane è raccolta in preghiera, i funerali della Beata.

Nata a Quarona nel 1368 in una famiglia di modeste condizioni, la giovane, che portava un nome inusuale, di origine greca, indicante “colei che rimedia a tutti i mali”, morì nella primavera del 1383, a soli quindici anni, per mano della matrigna. La donna, di nome Margherita, convolata a nozze con il padre di Panacea, rimasto vedovo della prima moglie, oriunda di Ghemme, detestava la bambina, mossa da una commistione di sentimenti di odio e di invidia, suscitati sia dagli slanci di generosità e compassione che Panacea, fin da piccola, manifestava verso i poveri e i malati, sia dalla grande devozione religiosa che animava la giovane valsesiana, disapprovata in questo non solo dalla matrigna, ma anche dalla sorellastra.

Sottoposta nell’ambiente domestico a continue angherie e vessazioni, nonostante l’opposizione del padre, che cercava di proteggerla, la piccola Panacea andò incontro a un crudele destino. Secondo la tradizione, raccolta in numerosi scritti biografici, la ragazzina nella primavera dell’anno 1368, come d’abitudine, s’era recata al pascolo sulla montagna sopra Quarona (monte Tucri) ma, essendosi attardata per recitare le orazioni, provocò la collera della matrigna che l’attendeva a casa.

Costei, colta da ira irrefrenabile, la raggiunse sul monte e iniziò a picchiarla violentemente. Impugnando poi una conocchia (o rocca), strumento adoperato nella filatura delle fibre tessili, e forse anche un fuso (in base a quanto riportato da don Bernardino Lancia), la colpì ripetutamente e ne causò la morte. In seguito, la matrigna andò a gettarsi da una vicina rupe, morendo anche lei.  

Gli episodi salienti della vita di Panacea si trovano simbolicamente riassunti negli attributi iconografici che ne caratterizzano le rappresentazioni pittoriche e scultoree: la conocchia, che è lo strumento adoperato per percuotere a morte la ragazza, odiata dalla matrigna anche per la sua ferma testimonianza di fede cristiana; il gregge di pecore, che richiama l’occupazione abituale di Panacea e la sua dimensione di vita semplice, in un ambiente rurale modesto; una fascina di legna ardente, che si collega infine a un avvenimento prodigioso tramandato dalle fonti orali e scritte, connesso alla morte di Panacea.

Un momento della cerimonia di proclamazione della Beata Panacea come “patrona della Valsesia”.

Secondo la tradizione, infatti, una fascina di legna posata vicino al corpo esanime di Panacea si mise ad ardere spontaneamente, lasciando immaginare un intervento divino, così come il risuonare improvviso delle campane della vicina chiesa di San Giovanni. I due eventi prodigiosi richiamarono l’attenzione della gente di Quarona, che accorse sul luogo rinvenendo il cadavere e trasportandolo poi in paese.

La giovane Panacea venne sepolta accanto alla madre, nel cimitero di Ghemme, ma in seguito fu traslata all’interno della parrocchiale, dove ancora oggi riposano le sue spoglie mortali, che nel corso dell’Ottocento vennero sistemate secondo l’uso invalso a quel tempo nel modellare le ossa dei corpi santi provenienti dalle catacombe romane.

La fama di santità della giovane valsesiana si irradiò in poco tempo dal luogo del martirio, Quarona,  e da quello di sepoltura, Ghemme, espandendosi tutto il territorio valsesiano e in gran parte del Novarese, radicandosi a tal punto nell’orizzonte devozionale delle popolazioni locali che, con il tempo, si affermò la consuetudine di riferirsi alla Beata Panacea con il semplice appellativo di “La Beata”.

La storia della giovane Panacea, che aveva trovato la morte per una forma di violenza maturata nell’ambiente domestico, ha attirato l’attenzione del celebre storico medievista francese André Vauchez, uno dei più accreditati studiosi della santità medievale, che, scrivendo della Beata Panacea in un suo saggio, l’ha definita “Cenerentola in Paradiso”, individuando alcune analogie tra le vicende della ragazzina valsesiana e la popolare fiaba di Cenerentola, almeno per quanto riguarda i continui maltrattamenti e angherie subiti in seno alla famiglia da entrambe le figure femminili.

Anche Silvio Pellico (1789-1854), recandosi sui luoghi della devozione per la Beata Panacea, ne fu impressionato, tanto da dedicare alla giovane martire un breve libro intitolato “Vita della Beata Panacea”, edito nel 1836, in cui ne descrive le vicende esistenziali.

Cerimonia religiosa all’interno della chiesa della Beata al Piano (ph. Amelio Fanchini).

Il culto per Panacea de’ Muzzi, che ricevette conferma papale solo nel 1867, ha lasciato numerose testimonianze di sé nell’arte pittorica e scultorea e nell’architettura. Ricordiamo, nel paese di Quarona, la chiesa della Beata al Monte, sorta sul luogo del martirio della giovane Panacea, dove si conserva, sotto l’altare, la pietra insanguinata su cui fu uccisa la ragazzina, e la chiesa della Beata al Piano, eretta forse già nel 1409 nel punto dove, secondo la tradizione, i buoi che trasportavano il carro con il corpo senza vita di Panacea s’erano fermati, non volendo più proseguire. Sempre a Quarona vi è un’abitazione con un antico affresco indicata dalla tradizione come la casa natale di Panacea. 

Nel comune di Ghemme, come abbiamo già accennato, sorge invece lo Scurolo, ambiente interno alla parrocchiale della Madonna Assunta, progettato dall’architetto Alessandro Antonelli ed eretto tra il 1864 e il 1875 appositamente per accogliere le reliquie della beata valsesiana. Sospeso in alto, come “una scena teatrale”, e raggiungibile tramite una doppia scalinata, lo Scurolo antonelliano si presenta come uno spazio circolare, ricavato sul lato sinistro della chiesa all’altezza del transetto e sorretto da dodici colonne.

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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