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“Gatto magico” Olivieri, il portiere del Toro che vinse un Campionato del mondo

TORINO. Sfogliando l’interessante Calendario 2020 edito dal Toro Club Pianelli e dedicato a “I grandi Portieri nella Storia granata”, con i documentatissimi testi di Giancarlo Morino, emerge la figura di uno dei più grandi numeri uno del calcio italiano, che ha indubbiamente lasciato un segno particolare nell’epopea del F.C. Torino. Parliamo di Aldo Olivieri, per tutti il Gatto magico.

Quando un portiere viene chiamato dai suoi tifosi con l’affettuoso nomignolo di un felino (Olivieri non fu il solo, nella storia granata, a meritarselo sul campo: pensiamo al grande “Giaguaro”, al secolo Luciano Castellini), è perché le doti di scatto, di elevazione e presa di quell’estremo difensore sono davvero giudicate straordinarie.

D’altronde il Gatto magico, non era mica un portiere qualunque. Anzi. Fu l’allenatore Ernő Egri Erbstein (che poi perirà a Superga con l’intera squadra degli Invincibili) a volerlo fortemente al Torino nel 1938. “Il Gatto” si era appena aggiudicato il titolo di campione del mondo. Si era però rifiutato di stringere la mano al duce, il giorno in cui la Nazionale di Vittorio Pozzo venne accolta a Villa Borghese per ricevere gli onori di Stato dopo il trionfo di Parigi, rischiando fortemente di mettere a repentaglio la propria carriera. Il presidente granata Cuniberti cedette però alle insistenze del lungimirante allenatore ungherese che voleva a tutti i costi in squadra quel bravo portiere. E così, Olivieri fu prelevato dalla Lucchese, squadra fortissima e sorprendente che quel genio di Erbstein aveva saputo trionfalmente portare in tre anni dalla serie C alla serie A, e il Gatto magico entrò nelle schiere del Torino, dando una rinnovata certezza alla propria carriera.

La formazione granata in una foto scattata all’inizio del Campionato 1938/1939. Da sinistra, in piedi: Egri Erbstein (all.), Bo, Vallone, Gaddoni, Brunella, Petron, Cadario, Allasio, O. Ferrini e il portiere Olivier. Accovacciati: Gallea, Bussi, Ferrero, Neri, Baldi e Cozzi.

Al suo esordio in granata, Gatto magico seppe subito mostrare ai tifosi del Filadelfia di che stoffa fosse dotato: parò due rigori alla Triestina, garantendo la vittoria al Torino per 1 a zero. E fu amore a prima vista. In porta sembrava un acrobata: volava da un palo all’altro come se avesse le molle nelle gambe. E neppure fu mai condizionato da quel pericoloso incidente di gioco, avvenuto nel corso del campionato 1933-1934, quando ancora difendeva la porta del Padova. La sua audacia lo portò ad uno spericolato scontro aereo con un avversario: quella volta, però, Olivieri ebbe la peggio e dovette subire un delicato intervento chirurgico al cranio. Quel giovanile incidente di gioco continuò, tuttavia, a causargli frequenti emicranie per tutta la carriera, soprattutto in concomitanza con i cambiamenti del clima: “E’ grazie a quei mal di testa se ero diventato un’infallibile meteorologo: sentivo il cambiamento del tempo in base ai dolori di capo”, affermò una volta parlando con la consueta ironia che lo contraddistingueva delle sue ricorrenti cefalee.

Gianni Brera, maestro di giornalismo, così ebbe a scrivere di lui: “Olivieri è stato il più grande portiere italiano. Quando volava, volava a ragion veduta: usciva sempre con ammirevole coraggio”. Militò nella squadra granata dal 1938-39 al 1941-1942. Lasciò il Torino nel 1942, anno di nuovi innesti nella formazione, e con gli acquisti dal Venezia di due grandi campioni come Loik e Mazzola. Dopo di che, difese ancora per una stagione la porta del Brescia. Poi, appesi i guanti e gli scarpini al chiodo, ma sempre innamorato del calcio, intraprese la carriera di allenatore.

Molto simpatico ed ironico, veronese di nascita (classe 1910), Olivieri ci ha lasciati nel 2001. Come dimostra questa stralcio di una sua intervista, era anche dotato di una eccellente dialettica.  

Così ebbe a raccontare il grande portiere granata: “Ho giocato nel Toro con Ossola, Menti e Gabetto, amici perduti a Superga insieme al mio allenatore Erbstein. Poi diventai allenatore io stesso. Nel 1953 mi convoca l’avvocato Gianni Agnelli nel suo studio. Mi fa: ‘Quanto vuole per allenare la Juventus?’ Io ci penso un attimo e gli rispondo: ‘Sa, Avvocato, adesso guadagno 60 mila lire, mi piacerebbe guadagnarne 80 mila’. Lui obietta, arrota la erre e mi risponde; ‘Veda, Olivieri, io con 30.000 lire trovo un ingegnere che mi progetta un’auto nuova’. Io ribatto: ‘Allora prenda un ingegnere e lo metta sulla panchina della Juve’. Però poi, alla fine, si convinse e prese me”.

(Le fotografie e le citazioni degli stralci delle interviste sono tratte dal Calendario 2020 “I portieri nella Storia granata”, edito dal Toro Club Pianelli, per gentile concessione di Giancarlo Morino, autore dei testi)

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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