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“Riso amaro”, il capolavoro neorealista di Giuseppe De Santis girato tutto nel Vercellese

Tra i film cult del neorealismo italiano un posto di primo piano spetta, indiscutibilmente, a Riso amaro (1949) diretto da Giuseppe De Santis: un ritratto storico di una civiltà contadina che si evolve, mostrando il passaggio a una primitiva civiltà di massa. Il desiderio effimero di possesso di beni e di liquidi sono il motore conduttore di questo processo di massificazione. Il regista laziale, ispirandosi in parte al cinema hollywoodiano e in parte a quello sovietico, realizzò un lungometraggio sulla condizione lavorativa delle mondine impegnato e popolare, realista e spettacolare, segnando una significativa evoluzione dell’estetica del neorealismo italiano. Se ancora non l’avete visto, è un capolavoro da non perdere.

L’idea di realizzare questo film venne al regista originario di Fondi (Latina) nel 1947 quando, tornando da Parigi dove aveva presentato Caccia tragica, si trovò nella stazione di Torino in attesa della coincidenza per Roma. Cominciò a sentire dei canti e scoprì che c’erano delle mondine che tornavano dalla risaia. Ne rimase affascinato e decise di mettere a punto un soggetto con l’aiuto di Carlo Lizzani e Gianni Puccini.

Raf Vallone e Silvana Mangano

Ovviamente, quando si dice Riso amaro si pensa immediatamente a Silvana Mangano (1930-1989), alla prepotente bellezza della mondina Silvana, la cui procace sensualità, all’epoca, aveva suscitato un certo scalpore. L’hanno definita l’attrice triste del neorealismo italiano, la Rita Hayworth italiana, l’attrice alla quale cucivano i film addosso, quella che non voleva fare i film. L’incontro casuale nelle vie della capitale con l’attrice romana convinse il regista che era lei la protagonista ideale. De Santis riuscì a fatica a convincere la Lux Film e Dino De Laurentiis che invece volevano un’attrice più affermata, in particolare Lucia Bosè. Per il principale ruolo maschile gli autori si rivolsero al direttore dell’Unità che presentò loro Raf Vallone, allora giovane giornalista, e decisero di farlo recitare. A completare il cast furono chiamati Vittorio Gassman, alla prima grande prova della carriera; Doris Dowling, sorella di Costance, donna fatale di Cesare Pavese; l’astigiano Checco Rissone, noto caratterista di formazione teatrale; il genovese Carlo Mazzarella, che fu anche un noto giornalista; Nico Pepe, noto anche come regista teatrale; la fiorentina Maria Grazia Francia.

Le riprese si svolsero nelle campagne vercellesi, più precisamente nella Cascina Veneria (comune di Lignana) e nella Tenuta Selve (Salasco). Molti esterni vennero girati presso la Cascina Selve di Salasco, tra cui la parte iniziale con l’arrivo delle mondine sugli autocarri. Il budget complessivo fu di 70 milioni di lire, il più elevato di quelli stanziati nel secondo dopoguerra. Distribuito nel circuito cinematografico il 21 settembre 1949, fu il primo film neorealista ad avere successo di pubblico nelle sale italiane. Grande successo ebbe anche in Francia con oltre 3,1 milioni di spettatori. Presentato in concorso al 3º Festival di Cannes, Riso amaro ricevette una candidatura ai Premi Oscar del 1951 per il miglior soggetto e attualmente fa parte dell’elenco dei 100 film italiani da salvare.

La trama in breve. Francesca (Doris Dowling), giovane cameriera d’albergo, istigata dal suo amante, Walter (Vittorio Gassman), ruba la collana di una cliente. Fuggono entrambi, e Francesca si mescola alle mondine, che partono in treno. Nel dormitorio delle mondariso, Francesca viene derubata della collana da una compagna, Silvana (Silvana Mangano). Sul luogo del lavoro giunge Walter, il quale avendo appreso che Silvana è presumibilmente in possesso della collana, la circuisce. Silvana non è insensibile alle premure del lestofante e, abbandonato il sergente Marco Galli (Raf Vallone) che l’ama, diviene l’amante di Walter, mentre il sergente fa la corte a Francesca, che si è pentita ormai del male fatto. Walter, avendo scoperto che la collana rubata è falsa, decide, per rifarsi, di rubare il riso accumulato nei magazzini come premio finale per le mondariso. Mentre le ragazze festeggiano la fine della stagione di lavoro, Walter convince Silvana ad immettere di nuovo l’acqua nei campi, per distrarre l’attenzione delle mondine e degli operai. Ma ha fatto i conti senza Francesca e il sergente Galli, che essendosi accorto di tutto, coglie i ladri sul fatto. Nella sparatoria che segue, Walter viene ucciso. Silvana, vittima del conflitto tra le due culture presenti nel paese, quella italiana e quella dell’Italia americanizzata dai mass media, disperata, s’uccide. Francesca andrà via a fianco del sergente.

Come ebbe a scrivere Massimo Bertarelli su Il Giornale nel 2001, il lungometraggio è un “epico melodramma neorealista del dimenticato Giuseppe De Santis, assai bravo a trasformare un modesto fotoromanzo pseudogiallo in un appassionato ritratto della povera Italia appena uscita dalla guerra. Nell’atmosfera torbida, si staglia per la sua carica erotica la bellissima Silvana Mangano, addirittura sensazionale quando si dimena in un sensuale boogie-woogie”.

Silvana Mangano e Doris Dowling

Una curiosità per concludere. A Legro D’Orta, piccolo centro sull’omonimo lago, detto “Il paese dipinto”, vi è un enorme murales che ritrae, la Mangano in acqua in una celebre scena del film. A Legro si possono ammirare altre sequenze di film girati nella zona che costituiscono il “Museo del Cinema all’Aria Aperta”.

Piero Abrate

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