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Da Borgo San Dalmazzo un prodotto d’antica tradizione: le violette candite

Il termine “candito” deriva dall’arabo qandi, a sua volta derivante dalla parola sanscrita kandakah, termine che indica il “succo di canna da zucchero concentrato”. La canditura non nasce come semplice modo di insaporire la frutta, ma come un vero e proprio metodo di conservazione per frutta e, anche, altri alimenti: mentre un frutto si mantiene al di fuori del frigorifero per una manciata di giorni, infatti, una volta candito, lo stesso frutto, può mantenersi in “buone condizioni” anche per diversi mesi. Le prime testimonianze di canditura in Europa arrivano verso la fine del Cinquecento, quando tale tecnica inizia ad essere protagonista di numerose pasticcerie e vetrine, anche nostrane, dove si afferma grazie a prodotti come la cassata siciliana ed il pandolce ligure.

Le violette candite appartengono all’antica tradizione piemontese, dove i fiori venivano canditi e serviti affiancando i più famosi, ma non per questo più buoni, marron glacè. Prodotti ormai unicamente nel territorio di Borgo San Dalmazio, e per questo spesso difficili da reperire, le violette candite sono entrate nella lista dei prodotti PAT piemontesi, in virtù delle “metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura che risultano consolidate nel tempo e sono praticate sul proprio territorio in maniera omogenea e secondo regole tradizionali per un periodo non inferiore ai venticinque anni“.

Ecco qui illustrato il procedimento di produzione di questo particolare prodotto nostrano.

Preparazione

La preparazione delle violette candite richiede una lavorazione lenta e dalla mano estremamente delicata. Per la preparazione di questo piccolo quanto peculiare dolce è preferibile usare fiori freschi e sani, coltivati all’aperto e non in serra, in quanto tendenzialmente con petali robusti, e preferibilmente raccolti nelle prime ore del mattino, tagliando il gambo a circa un centimetro dal fiore. I gambi verranno successivamente scartati, non riciclabili in quanto non edibili.

Lavate con delicatezza e lasciate ad asciugare, le violette sono passate in una sospensione di gomma arabica che viene deposta manualmente petalo per petalo, a mano, in modo da mantenere larghi e più appariscenti i petali del fiore. Spolverati con una pioggia di zucchero semolato, i fiori appena lavorati sono disposti, uno per scomparto, all’interno delle “brillantiere”, vachette a doppio fondo e reticolate dotate di un apposito rubinetto per lo scarico dello sciroppo.

A questo punto, si passa alla fase della “cristallizzazione”: ricoperti i fiori con lo sciroppo di zucchero a 70 brix freddo, valore che corrisponde alla percentuale di zuccheri, le brillantiere vengono riposte in una enorme “stufa”, dove riposeranno per sei ore alla temperatura di 30°-35. Qui, l’attenzione è massima, perché il colore dei fiori e particolarmente delicato e, ad alte temperature, tende a perdere la proprio volume. È proprio in questa fase che le violette vengono ricoperte da quel fine strato di zucchero simile a cristalli che le ha rese tanto conosciute quanto peculiari. Passato il tempo previsto. Lo sciroppo viene fatto defluire attraverso il rubinetto ed i fiori vengono lasciati ad asciugare in un luogo tiepido.

Mirco Spadaro

Classe '98, rivolese di nascita, frequenta il corso di Lettere Antiche a Torino, sotto il simbolo della città. Tra viaggi e libri, è innamorato della tecnologia e della scrittura e cerca, tra articoli e post su siti e giornali online, di congiungere queste due passioni, ora nella sua "carriera" come scrittore, ora con il "popolo di internet".

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