Quell’introvabile seme dei curiosi, ovvero “la smens dij curios”
Alla riscoperta delle espressioni più pittoresche della Lingua piemontese, ormai quasi del tutto cadute in disuso
C’era una volta una semente che non produceva né steli, né alberi, né frutti. Era però un seme per la mente, utile per forgiare i caratteri delle generazioni d’antan, per far crescere i fanciulli con il senso della misura, persino nella loro innata curiosità, che da sempre è espressione di una mente vivace, fervida, interessata alle cose del mondo, e di una spiccata smania di imparare tutto e subito.
Ma c’è un limite a tutto: c’è un limite anche ai perché e ai percome, e ai perché dei perché, anche quando le domande sono espressione di anelito di conoscenza.
Quando i fanciulli diventavano troppo petulanti oppure ponevano ai loro genitori domande ritenute off limits, allora quelli, spiazzati, rispondevano con un tranchant: “Basta parèj!”, “Basta così!”.
E la cosa, almeno al momento, finiva lì. Quando però le domande tradivano una curiosità fine a se stessa, diciamo perniciosa, o apparivano una violazione della privacy (a quei tempi questa parola era circoscritta nell’Oltremanica) la questione veniva chiusa seduta stante con l’espressione: “Non sono fatti tuoi”.
Molto spesso, alla domanda: “Quello cos’è?”, i genitori ‒soprattutto quando la stessa domanda veniva reiterata a raffica, oppure quando avevano esaurito il loro (scarso) tempo libero e la loro dose quotidiana di biblica pazienza ‒ rispondevano seccamente: “Smens dij curios!”, ovvero il “seme dei curiosi”. Un seme raro, forse più raro di quello dell’ “erba voglio”, che ‒ com’è noto ‒ non cresce nemmeno nel giardino del re.
Vorrei far notare agli affezionati Lettori che in piemontese la parola “smens” (seme, invariato al plurale) è femminile, a differenza dell’italiano. Non c’è da stupirsi: tutto ciò che genera vita è al femminile. Come la “Gran Madre”, dea unica e primigenia e pacificatrice dell’umanità, che nella notte dei tempi, e ancor prima degli dei dell’Olimpo, era considerata la “Madre creatrice” cosmica dell’umanità. Evidentemente qualcosa di quell’atavica cultura è rimasto anche nella lingua piemontese e si può nascondere persino in un piccolo seme.
Sergio Donna