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Quarant’anni fa ci lasciava un grande scrittore piemontese: Gianni Rodari

OMEGNA. Il 14 aprile 1980 si spegneva a Roma Gianni Rodarti, uno dei più grandi autori specializzati in scritture per l’infanzia: l’unico vincitore italiano del prestigioso Premio Hans Christian Andersen. Riconoscimento che gli venne assegnato nel 1970.

Sono passati 40 anni, un tempo lungo che non ha minimamente scalfito la sua opera sempre indispensabile nell’accompagnare la crescita culturale di intere generazioni a partire dagli Anni Sessanta quando il giornalista, nato a Omegna (Vb)  il 23 ottobre 1920 (quest’anno pertanto ricorre anche il centenario della nascita), comincia a essere conosciuto grazie ad alcuni capolavori pubblicati da Einaudi.

Gianni Rodari è stato un maestro elementare, un clandestino, un giovane partigiano, un giornalista, autore di libri per ragazzi, maestro di fantasia, scrittore di fiabe, e tanto altro. Una volta i ragazzi di una scuola gli chiesero di auto-presentarsi per lettera. Ed egli fece di sé questo ritratto: “Sono nato a Omegna, sul lago d’Orta in provincia di Novara, nel 1920. Ho cominciato, per caso, a scrivere per i bambini tra il 1948 e il 1950, sul quotidiano su cui lavoravo, perché si voleva fare una pagina per le famiglie, la domenica, e a me vennero in testa delle storielline divertenti. Ora scrivo per i bambini perché mi sono appassionato a questo lavoro; perché mi vengono in testa sempre nuove storie; perché spero di riuscire a far ridere qualcuno e anche aiutarlo a capire il mondo; perché me lo chiedono. Quando scrivo le mie storie? Dopo averle pensate e fantasticate tanto tempo, con pazienza, anche dopo anni…”.

Contrariamente all’opinione comune non reputava la letteratura per l’infanzia un genere minore:  “Con le storie e i procedimenti fantastici per produrle noi aiutiamo i bambini a entrare nella realtà dalla finestra, anziché dalla porta. È più divertente: dunque è più utile”, scriveva Rodari che oggi è il sesto autore italiano più tradotto nel mondo e si trova in buona compagnia con “mostri sacri” come Dante, Calvino, Eco e Moravia. Una convinzione avvalorata dalla produzione di assoluti capolavori come Gelsomino nel paese dei bugiardi del 1958, Filastrocche in cielo e in terra del 1960, Favole al telefono del 1962, La freccia azzurra del 1964 e nello stesso anno Il libro degli errori, La torta in cielo del 1966, Le filastrocche del cavallo parlante del  1970, Il palazzo di gelato e altre otto favole al telefono del 1972, Novelle fatte a macchina del 1973 e C’era due volte il barone Lamberto ovvero I misteri dell’isola di San Giulio del 1978, per fare un esempio scelto nella sua ricca produzione di favole, filastrocche, racconti, motti, frizzi, lazzi e brevi componimenti.

Il libro più importante resta senza dubbio Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, edito da Einaudi nel 1973, il suo manifesto dell’immaginazione dove spiega i meccanismi del fantastico e le ricerche fatte in materia d’invenzione narrativa. Una grammatica accessibile a tutti che toglie ogni dubbio sulla nostra stessa natura cognitiva: la mente umana cresce con l’immaginazione. La fantasia non è più una dote astratta appartenente a pochi fortunati geni, ma è una dote innata da crescere e coltivare.

E se oggi i libri da lui scritti sembrano tanto attuali è perché fantasia e pensiero logico nelle sue favole si prendono a braccetto conducendo il lettore in territori nuovi fino alla prova del fuoco finale: scegliere una strada nuova.

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