Era nato il primo giorno di agosto del 1944 a Caluso, centro del Canavese diventato famoso per l’Erbaluce, vino
Sin da ragazzo Alberto si appassiona del cinema. E’ il periodo del neorealismo e dei grandi registi che a Cinecittà sfornano capolavori come “Roma Città aperta”, “Ladri di biciclette”. Ma sa guardare anche oltre confine, diventando un frequentatore quotidiano di sale cinematografiche e cineclub. Si laurea alla Cattolica di Milano, a pieni voti e sin dalla fine degli Anni Sessanta, con Aldo Grasso, Francesco Casetti, Tatti Sanguineti, diventa una figura chiave chiave nell’ambito delle attività cinefile milanese. E’ tra i fondatori del CineClub Brera e tra i più fattivi collaboratori dell’Obraz Cinestudio. Nel 1976 con la nascita del quotidiano La Repubblica diventa uno dei più assidui collaboratori. Ottiene anche le cattedre in materia cinematografica prima alla Cattolica, quindi a Genova, Trieste e infine a Pavia.
Nel corso degli anni, diviene uno dei più stimati e apprezzati critici italiani. In lui l’ambiente accademico e quello legato al mondo della celluloide riconoscono uno studioso capace di portare avanti un discorso guida sul cinema della modernità. Ne sono testimonianza i saggi su Bunuel, Gitai, Ruiz, Doillon, ma i protagonisti del passato, dal cinema muto a quello contemporaneo. In lui è sempre viva il desiderio di scoperta affrancata ad un’analisi mai perniciosa, ma distinta nel ricercare i motivi salienti di come s’inventa il cinema. La sua passione per Godard lo porta dinanzi a un monolitico lavoro di rielaborazione del pensiero immagine-filosofia di uno dei registi più inafferrabili del Novecento, con una filmografia sterminata e piena di stimoli visivi. Un lavoro importante che ci restituisce la statura di un regista che ha fatto delle sperimentazione un linguaggio a sé, pieno del flusso dei pensieri in una chiave interpretativa intrinseca di significati, sempre viscerale nella sua esposizione ma capace di dare vita a operazioni filmiche imperdibili, dove la storia è fatta con le immagini, che lasciano un solco per il futuro.
Come scrive il collega e amico Tatti Sanguineti nella prefazione al libro “Scritti strabici” (Baldini Castoldi Delai, 2004), che raccoglie una selezione di recensioni di Farassino apparse su La Repubblica dal 1975 al 1988, quella di Alberto Farassino «fu una vita per il cinema, vissuta da un critico che non fu mai accademico, pesante, noioso; se cominci un suo pezzo lo leggi fino alla fine. Nei suoi pezzi si avverte non solo una tensione etica, civile e spesso didattica ma anche un conoscere i propri polli, uno stare in campana, un diffidare costante dei conformismi, delle mode, dei luoghi comuni, dei dettami, delle semplificazioni accomodanti».
Alberto Farassino è morto a Milano nel 2003.