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Nati il 12 maggio: il fotografo e alpinista torinese Mario Gabinio

TORINO. Tra i grandi protagonisti della fotografia a Torino un posto di rilievo nei primi decenni del secolo scorso spetta a Mario Gabinio, la cui opera per molti anni è stata considerata solo in minima parte dai contemporanei. Soltanto dagli Anni settanta del Novecento si è iniziato un lento percorso di riscoperta e valorizzazione delle sue immagini, affascinanti e rigorose, giocate su relazioni lievi tra superfici quasi immateriali e segni netti e rigorosi, che ben si prestano all’invenzione figurativa e artistica.

Mario Gabinio nasce a Torino il 12 maggio 1871. Il padre Antonio è un contabile delle Ferrovie dello Stato. Nel 1887, quando Mario ha solo 16 anni, il padre muore. Il ragazzo è costretto ad abbandonare immediatamente gli studi non ancora terminati e a cercare un impiego presso l’amministrazione delle Ferrovie, ricalcando le orme paterne. In quell’ambito raggiungerà, al termine della carriera, la qualifica di segretario di prima classe. La relativa sicurezza economica garantita dalla professione gli consentirà di dedicare il tempo libero all’escursionismo alpino ed alla fotografia. Riuscirà a completare gli studi solo nel 1898, ormai ventottenne, presso le Scuole Operaie San Carlo, vincendo il primo premio al corso di Meccanica.

Gabinio inizia la propria attività come fotografo amatoriale negli anni ’90 dell’Ottocento, dedicandosi principalmente alla fotografia di montagna. Dai primi decenni di attività il suo sguardo è rivolto alla realtà extraurbana delle valli attorno a Torino, come pure alle emergenze monumentali e ai primi segni della nascente industrializzazione. Negli Anni Venti del Novecento realizza alcune tra le immagini cui deve la sua notorietà: si tratta di fotografie che documentano capillarmente la città di Torino ed esprimono appieno le capacità tecniche e la sensibilità artistica dell’autore. Gabinio segue le trasformazioni urbanistiche fase per fase, segnando, con la sua opera, il passaggio cruciale dalla cultura ottocentesca dell’immagine ottica alla nuova visione propria del moderno.

Il corpus fotografico di Mario Gabinio è costituito in gran parte da lastre di formato 18×24 centimetri e relative stampe, con un uso occasionale di mezzi formati e formati minori. L’uso di pellicola in rullo può dirsi sporadico. La sua attività in veste di fotografo è sommariamente ripartita in tre grandi periodi ed aree tematiche, che in parte si sovrappongono o si intersecano: la fotografia di montagna e il patrimonio architettonico piemontese. Ma non solo. Gabinio, a partire dal 1930 e fino alla sua scomparsa , si dedica che Gabinio si allontanana definitivamente dal chiasso della fotografia italiana coeva e raggiunge una statura che può definirsi, senza tema di smentita, europea. Sono di questo periodo le sue nature morte, in prevalenza composizioni di frutta o sequenze di oggetti inanimati (piatti, stoviglie, catini, ecc.) disposte sui banchi del mercato di Porta Palazzo. È attratto dalle deformazioni generate da superfici speculari curve e dalle distorsioni che è possibile introdurre in fotografia per loro tramite. Alcune composizioni formali di dettagli architettonici lo avvicinano all’astrattismo. Fa talvolta uso di punti di ripresa e prospettive assai ardite, all’epoca all’assoluta avanguardia per l’Italia. Alla tradizionale stampa a contatto affianca la tecnica dell’ingrandimento su carta al bromuro d’argento.

Gabinio muore a Torino martedì 19 aprile 1938, all’età di 66 anni, celibe e senza discendenza. I nipoti ed eredi Ugo e Ivan Alessio, entrati in possesso del lascito, si persuadono rapidamente della necessità di trovare una sede adeguata per la conservazione e la valorizzazione delle fotografie dello zio materno. Ma gli enti declinano l’offerta e soltanto nel 1940 il podestà di Torino accoglie l’offerta di acquisto quasi 4.500 lastre al prezzo complessivo di 9.500 lire. Il fondo Gabinio, conservato in parte presso la fototeca municipale ed in parte presso il Museo Civico, giacerà invisibile al pubblico e pressoché dimenticato per molti anni. Attualmente, la quasi totalità delle sue opere è conservata presso la fototeca della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM) di Torino.

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