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Le competizioni di Survival sportivo sono quasi scomparse: ecco perché

TORINO. Oggi, di gare di Survival non ne esistono quasi più. In casi estremi, hanno cambiato definizione e target  prendendo il nome di “Spartan Race”, “Raid”, “Endurance” (gli sponsor e i media rincorrono sigle sempre nuove e competizioni  più estreme, selettive e specialistiche).   Tutto ciò da Torino, che naturalmente non è New York, ma una città militare di frontiera dove tutto il nuovo transita, si annuncia e si dimentica; dove nascono iniziative epocali da passare  subito a chi sa venderle meglio (Capitale d’Italia, del Futurismo, della moda, del libro, del Survival, e poi..).  Si tratta solo di una osservazione, perché nel Survival  è proibito lamentarsi, quindi passiamo a descrivere il campo nei suoi ultimi risvolti antropologici, sociali e perfino terapeutici.

Il motto latino apocrifo della Federazione Survival recita: “Supervivitur, sic vivitur” (Sopravvivi, così sai di vivere”).  Questo indica una tendenza non trascurabile. Gli umani sono gli unici organismi viventi che sanno trasformare le necessità primarie prima in divertimento e poi in cultura. Lo hanno fatto con il sesso (l’erotismo), con il cibo (l’arte culinaria) e da poco anche con il comportamento nel pericolo (sopravvivere per sport, o “reattanza euristica”).  Il Survival è cacciarsi (o essere cacciati) in guai seri per provare l’eccitazione indotta dall’adrenalina; il “Surviving” invece è il suo aspetto più diportistico, riferito all’addestramento in situazioni protette o simulate (corsi e contest). I survivalisti praticanti in Italia non sono molti (poche migliaia), ma gli amatori passivi sono milioni. Quasi il 70% dei film e dei documentari di successo toccano il tema della sopravvivenza o dell’avventura, però guardare gli altri rischiare non fa bene come il mettersi in gioco. Nel campo delle neuroscienze molti studi hanno evidenziato che le esperienze di sopravvivenza riuscite, anche quelle simulate, attivano di molto il nostro sistema immunitario e promuovono una fitness complessiva decisamente migliore, cioè una capacità di adattamento e idoneità psicofisica utile per il “problem solving” e per la resilienza allo stress (che da negativo può diventare positivo, cioè “eustress”). Non a caso il 30 per centi dei survivalisti fa di norma un lavoro sedentario in campo informatico. Le nostre abilità e attitudini ancestrali (fuggire, orientarsi, arrampicare, destreggiarsi manualmente) sono in pericolo. La mancanza di ambienti non protetti o estremi  ci debilita, soprattutto nell’infanzia, e ci espone di più al pericolo per carenza di motilità, alla depressione o all’iperattività per assenza di stimoli davvero vitali. Molte malattie di origine psicosomatica potrebbero essere superate con meno farmaci e più esposizione all’avventura, cioè al rischio dell’ignoto reale e/o  emotivo  (ubi maior, minor cessat, cioè “survival therapy”).

La prossima occasione per i torinesi in questo campo: una escursione selvaggia dal punto più basso della città (la riva del Po, 250mt) fino al punto più alto (il faro sul Colle della Maddalena, 750 metri) senza incontrare asfalto e risalendo il Rio di Reaglie sull’alveo, nei luoghi in cui lo scrittore d’avventura più famoso al mondo visse e morì più di 100anni fa. La prima edizione di questo Contest a premi organizzato dalla FISSS per domenica  24 giugno prossimo (festa di San Giovanni) con il patrocinio della Città, si chiama “Salgari Wild Trail” ed è aperto a tutti in modalità agonistica o anche solo esperienziale. Di questa iniziativa parleremo ancora presto.

Per info: salgaritrail@gmail.com – 393.8609020.

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