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In Val Casternone alla scoperta delle antiche fondazioni monastiche di Brione

Piccolo insediamento situato allo sbocco della Val Casternone, ai piedi della catena prealpina che congiunge il monte Musinè al monte Arpone, l’abitato di Brione, che oggi è frazione di Val della Torre, ospitò nel corso del Medioevo, in successione, due importanti fondazioni monastiche.

La prima, e più antica come origine, che si fa risalire al principio del X secolo, è il monastero benedettino di San Martiniano, e la seconda è la comunità cistercense femminile di Santa Maria, di cui esiste ancora la bella chiesa romanica, che assolve le funzioni di parrocchiale della comunità di Brione.

Casternone
L’area absidale della chiesa di Santa Maria della Spina a Brione.

Ripercorriamo brevemente la storia delle due fondazioni monastiche con l’ausilio delle informazioni riportate sul sito internet del Centro Interuniversitario di Storia Territoriale “Goffredo Casalis” e dell’accurata ricerca condotta da Giancarlo Chiarle su “Fondazioni monastiche e organizzazione del territorio. Il caso di Brione” (a stampa in “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, 2010, distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”).

L’analisi del toponimo, menzionato nei documenti medievali come Briduno, ne rivela l’origine celtica: secondo gli studiosi, deriva infatti da un nome composto che designa un luogo fortificato (-dunum) collocato su un’altura (briga) o presso un ponte (briva).

L’importanza antica della località come snodo viario, formato dall’incrocio di percorsi secondari della Via Francigena e di un reticolo di vie di collegamento e di transumanza tra la pianura e i pascoli alpini della valle di Viù, trova conferma nel fatto che, nelle fonti medievali, la Val Casternone veniva indicata proprio come valle di Brione (“in valle Briduno” e “in tota valle Brionis”).

Con la nascita del presidio fortificato detto “de Turreta”, promosso dal vescovo di Torino dalla seconda metà del XII secolo nell’ambito della competizione con i conti di Savoia, il baricentro amministrativo della Val Casternone iniziò a spostarsi dall’area di Brione, con le sue antiche fondazioni monastiche, ormai in fase di depotenziamento, verso l’alta valle, dove venne eretto un “castrum”, consistente in una torre circondata da un fossato, in corrispondenza del punto da cui si diramano i sentieri che conducono da un lato nella valle di Viù, attraverso il colle Portia, e dall’altro lato a Rubiana, attraverso il colle della Bassa. La nuova mappa del potere locale, seguita al processo di incastellamento dell’alta valle, lasciò un’impronta anche nella toponomastica, determinando il mutamento del nome da “valle di Brione” a “Vallis Turris”, cioè Val della Torre.

Basandosi sull’interpretazione di un documento del 770 (ma anche rimarcando la devozione speciale che, presso i Longobardi, era riservata a San Martiniano), gli storici Rossi e Gabotto attribuirono al monastero di San Martiniano una fondazione longobarda, in competizione “strategica” con l’abbazia franca della Novalesa, ma tale ipotesi, pur suggestiva, non ha trovato riscontri negli studi sulle origini delle fondazioni monastiche piemontesi né nelle indagini archeologiche sul periodo longobardo, rimanendo valida la conclusione del Ferrua per il quale “l’esistenza nella valle di Brione di un monastero dedicato a S. Martiniano è affermabile con certezza solo per il principio del X secolo”.

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Facciata della chiesa parrocchiale di Brione, in origine chiesa monastica cistercense.

Il ruolo svolto dai monaci di San Martiniano nella gestione economica e amministrativa del territorio trova riscontro nella denominazione di “vallis Sancti Martiniani” (valle di San Martiniano) utilizzata in un documento del X secolo per indicare la valle di Brione, oggi Val Casternone, in conformità, tra l’altro, a un’usanza diffusa nel Medioevo di far derivare il nome di una valle o di una regione dal nome del santo titolare della fondazione monastica più presente, dal punto di vista fondiario, nella zona.

Già al principio dell’XI secolo, però, la struttura monastica di San Martiniano risulta abbandonata dai monaci, forse in conseguenza delle devastazioni saracene o della situazione di disordine anarchico che permase per qualche tempo dopo la loro cacciata dalle Alpi (972). Del complesso monastico sopravvisse la chiesa, che al principio del Mille venne inclusa tra i beni del potente monastero torinese di San Solutore per volontà del suo fondatore, il vescovo di Torino Gezone, che intendeva, con questa assegnazione, assicurare un punto di appoggio agli eremiti del monte Caprasio, conosciuti per essere stati coinvolti, con San Giovanni Vincenzo, nel racconto di fondazione della Sacra di San Michele.

La fondazione monastica cistercense di Santa Maria fa risalire, invece, le sue origini agli albori del Duecento, periodo al quale si riconduce la struttura architettonica dell’odierna chiesa parrocchiale di Brione, che reca il titolo di Santa Maria della Spina e conserva in buona parte le forme medievali originarie. Stando ai documenti, la prima “priorissa” della comunità si chiamava Remota e proveniva dalla Maurienne in Savoia, territorio da cui era partito il gruppo delle monache fondatrici.

La base patrimoniale della fondazione monastica di Santa Maria si formò grazie al contributo determinante dei due principati territoriali che, in lotta con il vescovo torinese, si contendevano, in quella fase storica, l’egemonia politica sui territori dell’antica Marca arduinica di Torino: i conti di Savoia, che avevano come testa di ponte nella bassa valle di Susa il centro di Avigliana, e i marchesi del Monferrato, che, nel tempo, erano stati in grado di espandersi verso Lanzo e le sue valli, assicurandosi il controllo di Leynì, Caselle e del castello di Ciriè.  

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Dettaglio di una monofora nell’abside della chiesa di Santa Maria a Brione.

Se questa cooperazione tra Savoia e Monferrato può essere documentata per la fase iniziale di vita della comunità, fa notare il Comba che, in seguito, furono i conti di Savoia a prevalere, mostrando un particolare favore verso le monache di Brione, considerando il loro insediamento come un vero e proprio avamposto in direzione delle valli di Lanzo, non solo in competizione con il vescovo, ma anche nei confronti dei marchesi del Monferrato che, con la sottomissione feudale dei potenti visconti di Baratonia, ottenuta alla metà del XIII secolo, s’erano garantiti il controllo della Val Ceronda e della Valle di Viù. 

Le monache della Moriana si stabilirono inizialmente (la prima attestazione della loro presenza risale al 1197) presso quanto rimaneva dell’antica struttura monastica di San Martiniano, che, dopo la loro partenza, sarebbe stata trasformata definitivamente in cascina (cosiddetta “Cascina delle Monache”). In seguito, si insediarono poco più a valle, in una zona acquitrinosa, ma ritenuta adatta alle coltivazioni dopo adeguate opere di bonifica, dove avviarono i lavori per l’edificazione del nuovo monasterium di Santa Maria.   

Il patrimonio fondiario della monache di Brione, nel corso del XIII secolo, giunse a comprendere alcuni immobili a Torino, ma soprattutto una vasta estensione di terreni, in parte gestiti attraverso il sistema cistercense delle grange, unità di conduzione diretta delle proprietà agricole, che troviamo presenti in valle di Susa, a San Valeriano di Borgone e Sant’Antonino (forse pervenute per donazione del conte Tommaso di Savoia), e a Pianezza (la cosiddetta “grangia Planiciarum”).

Il monastero di Brione, nel frattempo passato dalla regola cistercense a quella di Santa Chiara, venne chiuso per decreto vescovile al principio del Seicento, in applicazione delle direttive del Concilio di Trento, che riformavano il monachesimo femminile stabilendo anche nuovi criteri per la collocazione delle strutture. Le monache si trasferirono, quindi, presso le Clarisse di Moncalieri e l’antica chiesa di Santa Maria, rimasta operativa, avrebbe poi acquisito la funzione di parrocchia di Brione, mantenendola fino ai nostri giorni.

Per concludere la presentazione della chiesa ex-monastica di Santa Maria della Spina a Brione, invitiamo i lettori a notare un dettaglio architettonico. Le absidi della chiese cistercensi, normalmente, sono dotate di terminazioni piatte, mentre nel caso di Brione le absidi sono semicircolari, dunque è probabile che le consuetudini costruttive radicate nel territorio siano prevalse sulla prassi edilizia dell’ordine, come si può constatare anche, per l’area piemontese, nelle fondazioni cistercensi di Staffarda e Lucedio.

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Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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