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In un film di Pasquali l’eccidio dei carabinieri di Beinasco

Il clamoroso episodio di cronaca nera, avvenuto nella cittadina alle porte del capoluogo nel 1902, diventò quattro anni dopo una pellicola del muto torinese

A Torino, il 23 febbraio 1902, alle 5,30 del mattino un carabiniere a cavallo della stazione di Beinasco arriva a gran velocità alla caserma di piazza Carlina. Porta la tristissima notizia dell’eccidio di due commilitoni, Giovanni Rossi, di 30 anni, di San Sepolcro (Arezzo) e Innocenzo Beccuti, di 23 anni, di Alfiano Natta (Casale). I due sono stati trovati cadaveri in un fosso lungo lo stradale che collega Beinasco a Torino, nei pressi della fermata tranviaria delle Fornaci. Senza indugio il capitano Vitti, comandante della compagnia esterna, salta a cavallo e, con alcuni carabinieri, corre al galoppo sul luogo del delitto. Intanto il brigadiere Barboni, comandante la stazione di Beinasco, ha avvertito il pretore di Orbassano e così iniziano le indagini.

Lo spettacolo è impressionante, i due cadaveri formano un macabro groviglio che spicca sulla spessa coltre di neve che ricopre campi e prati: appaiono martoriati, zuppi di sangue, gli abiti strappati, le teste sono state spaccate con i loro moschetti che hanno il calcio spezzato. La violenza è stata tale che il manubrio dell’otturatore si è conficcato nell’osso parietale sinistro di Innocenzo Beccuti, tanto che per staccare il moschetto dalla sua testa è necessario agire con una certa forza.

I due carabinieri, attaccati a tradimento e sopraffatti dal numero degli aggressori, hanno cercato di difendersi: le macchie di sangue nella neve fin sul limite della strada indicano che uno dei loro assalitori è stato ferito. Alla rimozione dei corpi, si trova un cappello nero, a cencio, con tesa e calotta flosce, e con una fascia a lutto sovrapposta al nastro nero. Si pensa all’aggressione da parte dei componenti di una banda di malfattori che scorazza per le strade della zona. Nella località sono già avvenute delle rapine e i carabinieri hanno predisposto un servizio di vigilanza: Rossi e Beccuti, dopo una pattuglia straordinaria, dovevano rientrare in caserma per le 22. Quando non sono tornati, il brigadiere Barboni è andato a cercarli e ha rinvenuto i loro corpi sullo stradale di Beinasco.

Il 25 febbraio i due carabinieri caduti vengono sepolti nel cimitero di Beinasco con una imponente cerimonia. Alle loro famiglie il Re destina un sussidio di 1.000 lire. Al tempo, Torino è agitata da tumulti e scioperi ma la notizia desta scalpore e sentita partecipazione al lutto: “La Stampa” apre una sottoscrizione per le famiglie dei carabinieri, che si chiude il 6 aprile con la somma di 8.800 lire, e viene organizzata al teatro Carignano una serata di beneficienza, sempre a favore delle famiglie, con un notevole incasso. Le indagini sono condotte con grande impegno ma, purtroppo, gli inquirenti compiono errori dolorosi: sono arrestate diverse persone innocenti. Nel febbraio del 1903 i carabinieri di Moncalieri individuano la pista giusta.

A Moncalieri, infatti, si è formata una pericolosa banda di rapinatori che infesta le strade che da questo comune si dipartono verso i vicini paesi con le aggressioni a danno dei carrettieri obbligati a viaggiare nelle ore notturne. Questa banda, che fa rivivere nel nuovo secolo il banditismo di strada del Piemonte di metà Ottocento, si dimostra molto audace e la polizia deve sguinzagliare i suoi migliori agenti per poterla smantellare. Nel 1903 molti componenti della banda – che sarà detta “dei trentatré” dal numero degli accusati processati – sono già statti arrestati. Secondo i carabinieri di Moncalieri, fra questi si trovano gli uccisori dei loro commilitoni: si sono recati a Beinasco per una rapina e vi hanno massacrato i carabinieri perché Giovanni Rossi, che aveva fatto servizio a Moncalieri, li ha riconosciuti e voleva arrestarli.

Questi assassini sono Bartolomeo Piccadò, di 27 anni, detto Scart; Pietro Fissore, 38 anni, detto Tomatica; Ferdinando Raviola, 31 anni, detto Gianaro, tutti in prigione, e Giovanni Battista Moriondo, 37 anni, detto Busun, latitante, che riuscirà a sfuggire alla cattura. Raviola è stato ferito alla mano dal colpo sparato dai carabinieri, Piccadò ha perso il cappello col nastro a lutto per la morte del padre e Fissore ha fatto compromettenti rivelazioni alla pettegola moglie.

Le indagini procedono però con difficoltà e così, quando tra marzo e aprile del 1904 si svolge il processo alla “banda dei trentatré”, della strage di Beinasco non si parla ancora. La sentenza del 17 aprile 1904, per altri reati, condanna alla reclusione Bartolomeo Piccadò per 8 anni, Ferdinando Raviola per 10 anni e Pietro Fissore a 16 anni. Uno dei condannati a questo processo, Luigi Piglia, dopo un anno di prigione, in punto di morte per la tisi, accusa di partecipazione alla strage un altro componente della banda, Antonio Sinchetto, e Giuseppe Cocchis. Il processo ai cinque accusati è finalmente celebrato nel 1907: si apre il 7 marzo e si conclude il 6 aprile con la condanna a 30 anni di reclusione per Bartolomeo Piccadò, Ferdinando Raviola e Pietro Fissore mentre Antonio Sinchetto e Giuseppe Cocchis sono assolti.

Al 3 luglio 1907, “La Stampa” annuncia che il ricorso in Cassazione dei tre condannati è stato respinto e che quindi saranno inviati a tre diverse case penali per scontare la loro pena. Viene alla mente l’affermazione “I mulini del Signore macinano lentamente” che Agatha Christie attribuisce a uno dei personaggi del suo romanzo “Il Natale di Poirot”, sempre ricordando che la verità giudiziaria non sempre coincide con quella reale.

Nel 1906, quando i giornali annunciano la soluzione del caso anche se non è stato ancora celebrato il processo, appare il film intitolato il “Delitto di Beinasco”, talvolta “L’eccidio di Beinasco”, diretto da Ernesto Maria Pasquali (Montù Beccaria, Pavia, 1883 – Torino, 1919), regista e successivamente produttore cinematografico. È evidente l’intento di sfruttare la curiosità del pubblico, come nel caso dell’instant-movie di Carlo Lizzani “Banditi a Milano” del 1968. Forse nella trama erano inseriti anche elementi relativi alle indagini su persone accusate poi risultate estranee, secondo il tema evergreen dell’innocente-accusato.

(da Civico 20 News 22-2-2017)

 

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