TORINO. Il film Il banchiere anarchico è arrivato nella sale giovedì 11 ottobre e a patire da lunedì prossimo il regista Giulio Base lo presenterà in alcune città italiane. Tra queste anche Torino, dove Base è nato nel 1964 e dove ha mosso i primi passi si palcoscenici, prima di approdare alla Bottega Teatrale di Firenze, diretta di Vittorio Gassmann. Il regista sarà a Torino giovedì 18 ottobre per lo spettacolo delle ore 21 al cinema Fratelli Marx. In quell’occasione il pubblico potrà dialogare con lui su quello che la critica considera uno dei lungometraggi più riusciti della sua quasi trentennale esperienza nel mondo della settimana arte.
Nella lotta per il raggiungimento dell’anarchia il protagonista ci rivela un’ipotetica soluzione per il raggiungimento della libertà dell’individuo: l’uomo attraverso l’isolamento costruisce un impero fondato sul denaro, unica soluzione, secondo il protagonista per il raggiungimento della libertà in quanto il denaro agisce senza regole e senza scrupoli. Si svela così l’ossimoro del titolo, banchiere anarchico: colui che cerca di superare ciò che condanna aprioristicamente, il mondo borghese. Anteponendo un volto nuovo del denaro non più secondo una concezione borghese e ipocrita ma anarchica e libera. Senza imporre un giudizio, il film si configura dunque come una riflessione filosofica e politica su cosa voglia dire essere liberi; sull’anarchia, ma anche sul mondo spietato della finanza, e per questo risulta estremamente attuale, nonostante – o piuttosto proprio perché – il tempo e lo spazio della vicenda sono indefinibili.
A livello drammaturgico il tutto ci viene raccontato con un dramma borghese intimistico, svolto dentro le mura domestiche, girato interamente a Cinecittà, ma in un modo cinematografico nuovo, che supera il dramma borghese stesso attraverso la ripresa dal basso dei protagonisti. Il regista asciuga al massimo la messa in scena, ma gioca con il colore, con la musica con le inquadrature. Una pellicola impegnativa, molto teatrale con la quale Base porta avanti un cinema che non vuole limitarsi ad essere d’approfondimento, ma che sprona lo spettatore a proseguire per conto proprio nello studio. Al termine, come in un libro, nei titoli di coda troviamo una nutrita bibliografia essenziale di testi che trattano l’anarchismo e il libertarismo, mentre al termine degli stessi cast e troupe al completo ballano sulle note di una Anarchy in the U.K. suonata all’ukulele.
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