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Il naufragio dimenticato del “Principessa Mafalda” carico di emigranti piemontesi

Il 25 ottobre del 1927 il piroscafo diretto nella Pampa Gringa in Argentina colava a picco al largo delle coste brasiliane, sulla rotta Genova-Buenos Aires. Nel naufragio, perirono oltre 350 persone, in gran parte astigiani, cuneesi e monferrini

Nel 1912, l’Oceano Atlantico settentrionale, nella notte tra il 14 e il 15 Aprile, aveva inghiottito nei suoi gelidi fondali (tra le oltre 1500 vittime) ben tredici giovani piemontesi, che a bordo del Titanic erano stati assunti come camerieri di sala o come addetti alle cucine del lussuoso ristorante di 1^ classe “À la carte”. Per uno solo di essi fu possibile recuperare il corpo, nei giorni successivi al naufragio: tutti gli altri risultarono dispersi. Abbiamo già raccontato la storia della tragedia del Titanic e dei tredici sfortunati piemontesi che erano a bordo, in un precedente articolo pubblicato su questa stessa testata (chi lo volesse leggere, clicchi QUI).

Poco più di quindici anni dopo, un’altra catastrofica tragedia del mare segnò le cronache internazionali dell’epoca: il 25 Ottobre del 1927 è la data fatale in cui affondò il piroscafo Principessa Mafalda al largo delle coste brasiliane, nelle acque dell’Oceano Atlantico meridionale.

Il piroscafo quasi pronto al varo

Questa nave, costruita nel 1908 e inaugurata nel 1909, era chiamata la “nave degli Italiani”, o meglio “dei Piemontesi”, in quanto il piroscafo, che seguiva la rotta che da Genova conduceva all’America del Sud, era quello che ad ogni viaggio trasbordava in Brasile e in Argentina migliaia di giovani italiani, provenienti da ogni regione della penisola, ma soprattutto dal Piemonte. Gente coraggiosa, ma anche disperata, che cercava (spesso illusoriamente) di far fortuna in un paese straniero, lasciando per sempre gli affetti più cari e la patria natia per un futuro (almeno nelle speranze) ritenuto migliore.

Sui transatlantici che percorrevano la rotta Genova-Buenos Aires, in quegli anni Venti del Novecento, la stragrande maggioranza dei passeggeri era rappresentata da Piemontesi: dopo trenta lunghi giorni di navigazione attraverso il Mediterraneo e l’Atlantico, centinaia di Langaroli, Monferrini, Cuneesi, Torinesi, Vercellesi, Novaresi, potevano finalmente sbarcare in una terra lontana: una sorta di terra promessa, che poteva offrire più concrete opportunità di lavoro e persino di arricchimento.

Il Principessa Mafalda salpò da Genova l’11 ottobre del 1927 per il suo ultimo viaggio prima della prevista demolizione: il comandante era Simone Gulì, siciliano. A bordo, tra passeggeri e uomini di equipaggio, c’erano 1259 persone. Nei forzieri della nave era custodito anche uno scrigno con 250 mila lire-oro, dono del Governo italiano al Governo argentino, in segno di generoso ringraziamento per la storica accoglienza sempre riservata ai nostri emigranti.

In quasi vent’anni di vita, il piroscafo aveva percorso già troppe miglia, e i suoi motori erano usurati da decine di reiterate rotte tra il Mediterraneo e l’Atlantico Meridionale. Durante quell’ultimo viaggio, i macchinisti di bordo lamentarono continui problemi al motore di sinistra: il comandante Gulì richiese che il Principessa Mafalda venisse prontamente affiancato da una nave di soccorso su cui effettuare il trasbordo dei passeggeri. Ma la richiesta venne categoricamente respinta.

Alle 17.30 del 25 ottobre del 1927, quando il Principessa Mafalda navigava ormai al largo della costa brasiliana, improvvisamente si sfilò l’asse dell’elica sinistra, squarciando la fiancata dello scafo, con l’inevitabile allagamento della sala macchine. Dal piroscafo cominciarono ad elevarsi in cielo inquietanti e minacciose volute di fumo nero, che lasciavano presumere un’imminente esplosione delle caldaie. Accorsero molte navi sul luogo dell’avaria, ma furono costrette a tenersi a debita distanza onde evitare di essere travolte dalla temuta esplosione. Al comandante non restò che ordinare il “Si salvi chi può!”, mentre ormai calava l’oscurità. A bordo fu il panico: molti si tuffarono in mare, altri cercarono la salvezza calando in mare le scialuppe. I superstiti, grazie all’intervento dei soccorsi, furono 900, ma perirono, annegate o divorate dagli squali, oltre 350 persone.

Il comandante Gulì si rifiutò di abbandonare la nave, e si lasciò inghiottire nel mare a bordo del suo piroscafo, insieme ai marconisti: morirono tutti al suono della Marcia Reale, suonata dall’orchestra di bordo, in una stoica e irreale atmosfera, che ricordava molto quella dell’affondamento del Titanic.

Una tragedia dimenticata, quella del Mafalda, che ebbe una eco profonda in tutto il mondo, ma soprattutto in Italia e in Piemonte e nella già nutrita comunità piemontese che aveva trovato ospitalità in Argentina, nella cosiddetta Pampa Gringa. I Piemontesi d’Argentina piansero quei loro compatrioti che per un fatale destino videro tragicamente infrangersi, prima ancora di toccare terra, il loro sogno di costruirsi una nuova vita in una terra ospitale e generosa, ma troppo lontana dalla Patria natia.

Sergio Donna

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