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Il gualdo, l’oro blu di Castelnuovo Scrivia

Adagiato nella pianura tortonese, a una decina di chilometri a sud della confluenza del torrente Scrivia nel fiume Po, il comune di Castelnuovo Scrivia riflette, nel ricco patrimonio monumentale e artistico racchiuso nel suo centro storico, la prosperità economica di cui godettero i suoi abitanti in particolare nel periodo compreso tra il Trecento, nell’autunno del Medioevo, fino al Seicento.

Gualdo
Il Palazzo Pretorio, tra i monumenti più significativi di Castelnuovo – ph Paolo Barosso.

Il motivo che determinò la fortuna dei castelnovesi, in quei secoli ormai lontani, può essere intuito recandosi a Castelnuovo nei mesi primaverili, in particolare tra maggio e giugno, quando spuntano qua è là, tra campi e giardini, i fiori gialli di una pianta erbacea conosciuta con il nome popolare di “gualdo” (o “guado”) che designa la specie botanica scientificamente classificata come “Isatis tinctoria”.   

Dalle foglie del gualdo, lavorate seguendo un procedimento complesso e laborioso, si ricavava, infatti, un pigmento azzurro/blu utilizzato per tingere tessuti, stoffe e filati, ma anche altri materiali come le ceramiche.

Come annota Antonello Brunetti ne “I paesi della cuccagna” (estratto da “Pro Iulia Dertona”, 2009), la piantina era già nota nel mondo antico per le proprietà cosmetiche e curative, in particolare per gli effetti cicatrizzanti sulle ferite. Le popolazioni celtiche delle isole britanniche, Scoti, Picti e Britanni, solevano cospargersi il corpo di un estratto ricavato dal gualdo non per apparire più “spaventosi in battaglia” (“atque hoc horribiliore sunt in pugna aspectu”), come credeva Giulio Cesare, testimone di questa usanza che riportò nei suoi Commentari, quanto appunto per le doti curative della pianta, capace di favorire la rimarginazione di lesioni e ferite che essi si procuravano combattendo.   

La coltivazione del gualdo come erba tintoria, lavorata per estrarvi il colorante naturale, si diffuse in Europa nei secoli centrali del Medioevo, quando il blu divenne di moda, imponendosi come il colore della regalità, a partire dalle regioni storiche francesi di Linguadoca, Guascogna e Provenza per poi estendersi in alcune aree del centro Italia, in particolare nei territori del ducato di Urbino e in Umbria (Gualdo Tadino).

La pianta erbacea dai fiori gialli trovò un habitat ideale anche nelle pianure tra Piemonte e bassa Lombardia, conoscendo una particolare concentrazione nella zona di Castelnuovo Scrivia, i cui abitanti si specializzarono nella coltivazione e lavorazione del gualdo, ottenendo un prodotto che veniva esportato in tutta l’area mediterranea, capace di concorrere con il famoso “pastel” provenzale e tolosano.

Dalle foglie del gualdo, macerate in appositi mulini e ridotte in poltiglia, si ricavava una pasta (questo spiega l’origine del vocabolo francese “pastel”, che designa appunto la pianta del gualdo) che veniva poi modellata per ottenere dei “pani” di forma sferica (di circa 12-15 centimetri di diametro), chiamati “cocagne” in Provenza e nel Midi francese, ed è questa la tipica forma con cui il prodotto veniva commercializzato.

Gualdo
Isatis Tinctoria, incisione di Jacob Sturm tratta da “Deutschlands Flora in Abbildungen nach der Natur mit Beschreibungen” (fonte: Wikipedia).

La lavorazione del gualdo garantì per molti secoli, in particolare tra Trecento e Seicento, un notevole benessere economico alle comunità che la praticavano. Basti pensare che proprio dal termine provenzale “cocagna”, che indica i pani ottenuti dalla lavorazione delle foglie del gualdo, deriva la celebre espressione popolare “paese di cuccagna”, che allude a un luogo immaginario, fantastico, in cui l’uomo vive felice e spensierato, nell’abbondanza dei beni materiali e senza dover lavorare.  

La fortuna del gualdo cominciò a declinare con l’introduzione dall’India, ad opera dell’esploratore e navigatore portoghese Vasco da Gama, della pianta asiatica conosciuta come Indigofera tinctoria, da cui si otteneva l’indaco (dal greco antico indikon, ovvero proveniente dall’India), caratterizzato da una maggiore concentrazione dei pigmenti del blu rispetto al gualdo. Malgrado la concorrenza dell’indaco, la coltivazione del gualdo continuò, tra alti e bassi, conoscendo ancora una breve fase di rinascita nel periodo napoleonico quando, a seguito del “blocco continentale”, cioè il divieto imposto da Napoleone alle navi britanniche di attraccare nei porti francesi, si fece un tentativo di riportare in auge il gualdo. Si trattò, però, di una fiammata, che si esaurì con il ripristino delle normali rotte commerciali, ma la batosta definitiva per i coloranti di origine vegetale, sia il gualdo che l’indaco, arrivò dalla seconda metà dell’Ottocento con l’introduzione dei coloranti sintetici, ottenuti da procedimenti chimici.

L’importanza del gualdo nella storia di Castelnuovo trova attestazione nelle disposizioni degli Statuti medievali, che prevedevano forme di tutela della coltivazione del gualdo, ma anche dello zafferano, piantina di origine asiatica adoperata per la tintura in giallo, e in alcune novelle scritte da Matteo Bandello, nativo proprio di Castelnuovo, che fu frate domenicano e vescovo di Agen in Francia, ma conosciuto soprattutto come prolifico novelliere del Rinascimento.

In tempi recenti, nel 2014, è stato inaugurato a Castelnuovo, nell’area dei giardini “Regina Elena di Savoia”, un Monumento al Gualdo, costituito da due macine in conglomerato appenninico della Val Borbera, recuperate fra quelle che un tempo venivano utilizzate per la macerazione delle foglie.

Come abbiamo accennato all’inizio di questo breve articolo, l’antica prosperità di Castelnuovo, che raggiunse il culmine tra Trecento e Seicento, si rispecchia nella ricchezza del patrimonio architettonico e artistico del centro storico.

Tra le architetture religiose, risalta la chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, eretta nel XII secolo e successivamente rimaneggiata, in particolare a fine Cinquecento su probabile progetto di Pellegrino Tibaldi, architetto molto legato a San Carlo Borromeo. Originale dell’epoca di costruzione della chiesa è il portale d’ingresso a falso protiro con leoni stilofori e scene scolpite nella lunetta, che reca la data 1183 (regnante Federico Barbarossa) e la firma del magister Albertus, personaggio di cui si sa poco, autore di lavori scultorei in San Giacomo a Gavi e nel duomo di Genova.

Gualdo
La facciata della chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo – ph Paolo Barosso.

Di grande bellezza ed eleganza, fra le architetture civili, è il Palazzo Pretorio, conosciuto anche come castello dei Torriani e Bandello, costruito tra XII e XIII secolo, con successivi rifacimenti e ampliamenti, sul sedime di un castrum altomedievale, forse risalente nel nucleo originario agli Ostrogoti di Teodorico. Il Palazzo Pretorio, per molto tempo sede comunale, venne interessato da un importante cantiere nel corso del Quattrocento, con l’aggiunta del loggiato aperto verso la piazza al pian terreno, l’allestimento di un ampio salone luminoso al primo piano e la sopraelevazione della possente torre fino all’altezza di 39 metri (il Palazzo Pretorio è visitabile, inserito nel circuito “Castelli Aperti – tra borghi, ville e castelli del Piemonte”).

Notevole è poi il Palazzo Centurione, ragguardevole esempio di architettura seicentesca, oggi sede delle collezioni del Museo Civico, fatto costruire su progetto di Pellegrino Tibaldi dai marchesi Marini, feudatari di Castelnuovo dalla metà del Cinquecento, e successivamente acquisito dai principi Centurione.

Ricordiamo, infine, che Castelnuovo Scrivia non è solo la patria del novelliere rinascimentale Matteo Bandello, ma ha dato i natali anche all’avvocato Ludovico Costa, che il governo sabaudo nel 1815 inviò a Parigi con il delicato compito di recuperare i beni artistici trafugati dai francesi in Piemonte e in Liguria, e dell’illustre giornalista, scrittore e critico letterario novecentesco Pier Angelo Soldini.

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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