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Il 18 agosto 1690 i piemontesi furono sconfitti a Staffarda: radiografia di una battaglia

L’esito dello scontro con l’esercito francese non fu comunque determinante sul risultato del conflitto europeo che vide coinvolte le più grandi potenze economiche e militari dell’epoca: Vittorio Amedeo riuscì a salvare l’indipendenza del Ducato di Savoia dalle velleità espansionistiche francesi rafforzando il prestigio del suo Stato

Era l’estate del 1690. L’Europa era divisa in due fronti militari: da un lato la Francia di Luigi XIV, il re Sole; dall’altro i suoi tradizionali nemici: la Spagna, l’Inghilterra e il Sacro Romano Impero. All’Alleanza antifrancese (la Guerra dei nove anni imperversava sul vecchio Continente dal mese di Settembre 1688), quell’anno si unì anche il Ducato di Savoia.

Vittorio Amedeo II non si era piegato all’ultimatum del re di Francia, che gli imponeva di inviare un contingente di tremila fanti e tre reggimenti di Dragoni sul fronte olandese, o al confine con il Ducato di Milano, allora dominio spagnolo, oltre a a non opporsi all’occupazione da parte delle truppe francesi della piazzaforte piemontese di Verrua e della stessa Torino. In caso di rifiuto a sostenere la causa francese, il Ducato sabaudo sarebbe stato duramente “punito”. Al duca non restò che schierarsi con gli Alleati, con la prospettiva di salvare l’indipendenza dello Stato e di conquistare Casale. E il Piemonte divenne subito teatro di guerra.

In questa e nelle due foto che seguono, altre fasi della rievocazione (foto di Beppe Lachello)

Vittorio Amedeo disponeva di un esercito di 8.000 effettivi, cui si era unito il contingente spagnolo, al comando del marchese di Louvigny. Un contingente di 5.000 imperiali era in fase di avvicinamento, ma non aveva ancora raggiunto le campagne piemontesi. Sul fronte opposto, le truppe francesi, al comando di Nicolas de Catinat de La Fauconniere, raggiungevano i 12.000 uomini.

Le truppe piemontesi potevano contare sull’esperienza del principe Eugenio di Savoia. Ma l’esuberanza e la pressante impazienza del duca risultarono più determinanti della prudenza del principe, che a differenza del cugino, era propenso ad attendere un momento strategicamente più adatto per uno scontro diretto.

Così, il 18 agosto 1690, nelle campagne di Staffarda (Cuneo), Vittorio Amedeo ordinò l’attacco contro i Francesi, prima ancora che arrivassero i rinforzi imperiali.

Il duca schierò le sue truppe lungo due linee: l’ala destra era disposta su un terreno piuttosto paludoso e malsano, quella sinistra lungo fiume Po. Al centro erano posizionate la Cavalleria spagnola e quella piemontese. I Piemontesi occuparono le cascine intorno a Staffarda, rinunciando a presidiare una vecchia diga sul fiume, che avrebbe potuto essere strategica nel colpire ai fianchi i Francesi. Catinat, approfittando degli spazi lasciati liberi tra le cascine, riuscì a far incuneare le sue truppe tra le fila nemiche.

Poi ordinò ai suoi Dragoni di irrompere sui contingenti posti a difesa dei cascinali: i Piemontesi, travolti dall’impeto dei Francesi, furono costretti ad arretrare, abbandonando i presidi. Vittorio Amedeo riuscì a riprendere le postazioni originarie, ma ormai le sorti dello scontro apparivano segnate. Catinat ordinò l’attacco alle seconde linee: il fronte sabaudo cedette e Vittorio Amedeo dovette ordinare la ritirata, e con la copertura delle Guardie e dei Carabinieri di Savoia, riuscì a ripiegare su Carignano e Moncalieri.

Una fase della Battaglia di Staffarda in un dipinto di Jean Baptiste Morret

La dura battaglia lasciò sui campi di Staffarda migliaia di morti: i caduti piemontesi e spagnoli furono 2.800, oltre a 1.200 prigionieri e 2.700 feriti. Gli Alleati persero 11 cannoni su 12.  I caduti francesi furono 2.000. Dopo la vittoria alla Battaglia di Staffarda, Catinat occupò Savigliano e Saluzzo e distrusse Ceresole. Ma la fine della guerra era ancora lontana e il suo esito incerto e aperto a risvolti ancora imprevedibili.

Sergio Donna

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