
I tanti modi garbati della Lingua piemontese per mandare uno scocciatore “a quel paese”
Raramente i Piemontesi doc (ce ne sono ancora molti qua e là, ma – com’è nella loro indole – spesso rimangono nell’ombra, dando l’idea di essere molto meno numerosi), raramente – dicevo – ricorrono alle volgarità verbali: ciò fa parte di una cultura atavica, di uno stile di vita, di una capacità innata di tenere i nervi sotto controllo, ma anche di un naturale senso della moderazione che di generazione in generazione si trasmette da secoli.
Ciò non significa che la pazienza e la capacità di resistere alle provocazioni dei rompiscatole e di soggetti troppo petulanti sia per un Piemontese autentico illimitata. Certo che no. Ma, per quanto esasperato, difficilmente un Piemontese doc manderà a quel paese il suo provocatore con epiteti volgari del tipo di quelli che abbondano nel vasto vocabolario della Lingua italiana. Lo farà probabilmente con locuzioni meno plebee, talora un po’ sibilline, ma non per questo meno caustiche e pungenti.



C’è ovviamente una vasta gamma di locuzioni verbali idonee al caso, ma il Piemontese doc saprà scegliere, di volta in volta, quella più adatta alla fattispecie per “mandé al cine” (mandare al cine: che magnifica ed elegante metafora!) il rompiballe di turno.
Oltre a quella del cinematografo, vediamo di elencare qualche altra locuzione, parimenti colorita. Io, ad esempio, trovo l’espressione “Vate a caté ’n cassul!” (Vatti a comperare un mestolo!) a dir poco poetica. Non so quale ne sia la genesi (che sia nata nella cucina di un albergo?), ma l’idea di liquidare uno scocciatore con una frase così bizzarra, ma al tempo stesso elegante ed ironica, è certamente spiazzante per l’interlocutore.
Non meno efficace e pittoresca è la frase “Vate a caté na mòla!” (Vatti a comperare una molla!), anch’essa di origini vaghe (forse forgiata in una bòita, ovvero in una piccola officina meccanica, chissà?).


Crescendo leggermente di registro, ma rifuggendo sistematicamente le parole volgari (i Piemontesi doc non nominano quasi mai esplicitamente il deretano, salvo a chiamarlo in causa con argute metafore), esistono poi altre frasi suggestive che, nei casi più esasperati, possono venire a taglio.
Come: “Vatlo a pijé ‘nt la giaca” (Vattelo a prendere nella giacca) oppure – udite, udite! – nel sublime “Vatlo a pijé ‘nt ël frach” (Vattelo a prendere nel frac), frase che se da un lato liquida l’interlocutore in modo perentorio, dall’altro lo nobilita e lo veste metaforicamente di abiti aristocratici, come la marsina.


Per finire, ricordiamo le frasi esortative: “Va a caghé ‘nt la carbonin-a!”, ovvero: Vai a defecare nella carbonella! (magari accesa???), e “Va a caghé ‘nt la melia!” (Vai a defecare in un campo di granturco!).
Un pizzico di sferzante sarcasmo, vestito di eleganza subalpina. Questione di stile.
Sergio Donna
Nota dell’Autore: Chi volesse consultare un mio precedente articolo sullo stesso tema, può trovarlo qui (cliccare sul link)

Bibliografia:
sul tema degli insulti in Lingua piemontese è recentemente uscito l’interessante “Insultario piemontese-italiano” | Insulti, parolacce, imprecazioni, modi di dire poco gentili e vilipendi vari. Ne è autore Paulo Sirotto (Paulin Siròt), Editoriale Programma, Dicembre 2024