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I ruderi del Gesiun, a Piverone (TO), appartengono a una chiesa bizantina?

Il fascino del Medioevo sulle orme della Via Francigena canavesana

La via Francigena piemontese passa da qui, con una delle diramazioni, immersa in una natura verde e punteggiata di vigneti e campi di girasoli, in un panorama che alterna piccole chiese, laghi, paesi e castelli.

Sulla Serra d’Ivrea, all’incrocio di due stradine di campagna, nel Comune di Piverone, fra vigneti e campi coltivati a perdita d’occhio, spiccano i ruderi di una antica chiesa. Non si hanno notizie storiche sulla sua origine; alcune caratteristiche architettoniche portano a collocarne la datazione tra la fine del X e la metà del secolo successivo, altre fanno pensare a un’epoca ancora più antica. L’edificio, unico nel suo genere nella Diocesi d’Ivrea, si presenta in stile romanico primitivo e ci offre l’unico esempio, nella zona, di presbiterio separato dal resto della chiesa.

I ruderi che si sono conservati sino ai nostri giorni vengono identificati con la chiesa dedicata a San Pietro, in località “Sugliaco”, dove un tempo sorgeva un centro abitato che si spopola per varie cause a partire dal XIII secolo, e i cui abitanti concorreranno alla formazione di Piverone.

Quanto resta dell’edificio in pietre e mattoni, diroccato in più punti e fino a pochi anni fa sommerso dagli arbusti, fa comprendere la sua originaria struttura architettonica, con la navata unica ed il presbiterio che si conclude con un’abside poco pronunciata. Le dimensioni della navata sono ridotte: 4,62 m in lunghezza e 3,80 m in larghezza; l’abside semicircolare ha soltanto 80 cm di raggio. La navata era coperta da un solaio di cui ancora si vedono alcuni incastri nei muri. L’architetto Camillo Boggio, nativo di San Giorgio e morto a Torino, occupandosi del Gesiun nel 1887, sugli Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino (Vol. II), così lo descrive: “Un originale esempio di architettura dei primi secoli cristiani… Le dimensioni della navata sono piccolissime, giacchè non misura che metri 4,62 in lungo e metri 3,80 in largo. L’abside ha poi solo ottanta centimetri di raggio. Notevole è la parte che possiamo chiamare presbiterio, di lati m 3,80 per uno…”.

Alquanto suggestiva è anche la struttura che divide la navata dal presbiterio, costituita da due lesene in pietra e mattoni addossati alle pareti laterali che, assieme a due colonnine in granito con capitelli cubici, sorreggono tre archi (triforium) che immettono al presbiterio, coperto lateralmente da due volte a botte rampanti, mentre al centro doveva esserci una piccola volta centrale a crociera, ora crollata. Al di sopra del presbiterio si innalza un singolare campanile che presenta su ciascuno dei quattro lati una finestra sormontata da un piccolo cornicione con archetti pensili in cotto.

Oggi l’edificio è privo del tetto e di parte dei muri laterali, conserva l’arco di ingresso e qualche traccia di affreschi. I lavori di restauro hanno consentito di riportare alla luce, nella zona presbiterale, un frammento di affresco con una mano che sostiene un libro, opera collocabile nel XV secolo: si può ipotizzare che sia parte di una perduta raffigurazione di San Pietro, santo al quale la chiesa era dedicata.

La singolarità e la soluzione architettonica dei tre archi che separano il presbiterio dall’unica navata fa pensare a schemi presenti nelle chiese rupestri bizantine del Materano (X-XI secolo) o a fondazioni basiliane in Sicilia. Tale aspetto è sottolineato da Carlo Caramellino che, nel testo L’arte romanica in Piemonte, Val d’Aosta e Liguria, la descrive in questi termini “(…) è singolare la struttura del “Gesiun” di Piverone, ad aula unica ma con la soluzione nel bema del triforium con volte a botte rampanti verso un campanile tiburio, che non trova riscontri se non nella chiesa di Santa Maria di Mili in Sicilia, di fondazione basiliana”.

Quest’ultima chiesa ha una grande storia: il Gran Conte Ruggero, lo stesso anno della fondazione del Monastero, il 1090, vi seppellisce il figlio Giordano, morto in battaglia a Siracusa. Sul portale d’ingresso al complesso monastico, un bassorilievo raffigura lo stemma dei Basiliani, la “colonna di fuoco” apparsa in visione al fondatore, San Basilio Magno di Cesarea in Cappadocia (329-379). Le rovine della chiesa del Gesiun sorgono poco lontano dal paese di Piverone, in località Torrione.

Ezio Marinoni

Ezio Marinoni

Ezio Marinoni (Torino, 1962), dal 2018 è iscritto all’Albo dei Giornalisti del Piemonte. Ha collaborato al trimestrale Plus Magazine con la rubrica “Emozioni tra arte cinema e libri” e con la testata Agenda Domani. Attualmente è collaboratore del blog ligure Trucioli e redattore della testata on-line Civico20News, su temi di arte, storia e territorio. Una sua silloge poetica è compresa nel III volume della “Storia della Letteratura Piemontese”, curata da Camillo Brero (Piemonte in Bancarella, 1981) È autore delle seguenti opere: Il libro e l’affresco di Elva (Edizioni Mille, 2019) - Una vita di versi (Crearte, 2020) - Elva. Il mio sguardo (Edizioni Mille, 2022) - Torino bianca e noir (Graphot, 2023) con Milo Julini - Racconti ritrovati (2023).

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