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I morti piemontesi dimenticati della Grande guerra in un libro di Giancarlo Libert

TORINO. Se c’è un autore che è piacevole ascoltare nelle sue dissertazioni e di cui è un piacere leggere i  libri (sempre documentati da preziose immagini e rari incartamenti, su interessanti eventi che hanno riguardato la storia di Torino e del Piemonte degli ultimi due secoli), beh, quello è Giancarlo Libert. Lui si è occupato ad esempio, in decine di volumi pubblicati, della storia molto particolare di alcuni quartieri periferici torinesi (come la cosiddetta Città Giardino, sorta negli Anni Cinquanta e popolata da esuli polesani), nonché della storia altrettanto curiosa delle vecchie cascine e dei contadi che facevano corona alla città, al di là dell’antica cinta daziaria.

Ma Libert ha anche, e soprattutto, approfondito ogni aspetto dei flussi migratori dei Piemontesi verso l’Europa, il Sud America, l’Australia, e verso ogni altra parte del mondo. Com’è noto, le emigrazioni hanno coinvolto, nel corso del Novecento, decine di migliaia di famiglie piemontesi: viticultori e contadini langaroli e del Monferrato, artigiani e commercianti, carpentieri, muratori, boscaioli, eccetera, presero la via del mare per trasferirsi in nuovi Continenti. Molti di questi emigranti piemontesi, dando prova della loro intraprendenza e della qualità del loro lavoro, seppero fare fortuna nella patria di accoglienza, aprendo fiorenti aziende agricole e commerciali e piccole e medie industrie…

Ad una migrante piemontese molto particolare, la nonna di papa Bergoglio, Libert, assieme ad Orsola Appendino, ha dedicato un volume di grande successo Nonna Rosa, la roccia delle Langhe. Da Cortemilia all’Argentina. Ora, con il suo ultimo libro, Giancarlo Libert ci rende partecipi di un’altra storia non meno intrigante (anche perché è semisconosciuta). Lo scrittore, in Piemontesi sul Fronte Occidentale, tra inedite immagini d’epoca, approfondimenti, commenti e curiosità svelate, ricostruisce la sorprendente storia dei soldati piemontesi impegnati in trincea sul Fronte Occidentale nel corso della Grande Guerra, schierati a fianco dei Francesi, contro il nemico germanico. Furono quasi 10.000 i caduti italiani su queste linee. I loro corpi giacciono pressoché dimenticati nei cimiteri di Bligny e Soupir e di altri piccoli borghi francesi.

Il generale Giuseppe Garibaldi

Eppure, il contributo che diedero quelle migliaia di Italiani (e centinaia di Piemontesi) sul Fronte Occidentale fu determinante, soprattutto nelle ultime fasi della Grande Guerra.  Ma già nel 1914, allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale, e prima dell’ingresso ufficiale dell’Italia nel conflitto mondiale, su quelle linee, un tal Peppino Garibaldi (omonimo dell’eroe dei Due Mondi) coadiuvato dai suoi fratelli riuscì a raccogliere una Compagnia di oltre 2.000 volontari che andarono a combattere nelle colline dell’Argonne, nella Francia nordorientale, al confine tra la Lorena e la Champagne-Ardenne. L’avventura “garibaldina” finirà nel mese di marzo del 1915. Successivamente altri 60.000 “lavoratori” italiani, arruolati nelle cosiddette Truppe Ausiliarie Italiane in Francia, parteciparono al conflitto. Nella primavera-estate del 1918, 25.000 uomini della II Armata vennero inviati sul fronte francese al comando del generale Albricci, per ricambiare l’invio di due Battaglioni francesi in Italia dopo Caporetto. Dei 25.000 combattenti, furono 9.334 le perdite, di cui 5.000 caduti ed oltre 4.000 feriti; ma ciò che rende ancor più triste questa storia, è che – come si è già ricordato – le tombe di quei caduti si stanno sgretolando nell’oblio, sparse nei cimiteri della Francia.

Giancarlo Libert, Piemontesi sul Fronte Occidentale. I morti dimenticati della Grande Guerra, Editore Aquattro, pg. 160,  18 euro

 

 

 

Sergio Donna

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