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FABIO ALBERTI

La necessità di accorpare le due Aziende Sanitarie (Torino nord e Torino sud) rappresenta una opportunità per le realtà territoriale ed ospedaliera. Una “scommessa” votata alla razionalizzazione dei Servizi e al risparmio, ma che richiede ancora un po’ di tempo dal punto di vista gestionale ed operativo

 

Dott. Alberti, quali sono le ragioni che hanno determinato la costituzione di una unica Asl?

Credo che nella volontà della Regione Piemonte il pensiero prevalente sia stato di razionalità in relazione alla pregressa divisione delle due Asl 1 e 2, ovvero Torino nord e Torino sud. Nella difformità dell’organizzazione dei Servizi ci si è resi conto che tale non poteva reggere in una stessa città proprio perché non razionale; quindi, si è trattato di mettere insieme una serie di Servizi sia territoriali che ospedalieri per dare all’Azienda Sanitaria (Asl Città di Torino, ndr) una impostazione operativa di accorpamento più uniforme e sinergica.

Quali i ruoli gerarchici dell’Asl Città di Torino?

Il direttore sanitario, il direttore generale, il direttore amministrativo e il Collegio di direzione. Facendo l’Atto Aziendale si è affrontato il problema che è caratteristico di queste dimensioni, ossia governare una realtà sanitaria di notevoli dimensioni è un fenomeno molto diffuso nel nostro Paese, e alcune esperienze regionali questi processi di accorpamento non sempre hanno dato i risultati sperati, in quanto il problema è spesso legato alla difficoltà di gestione e direzione. Nel nostro Atto Aziendale abbiamo affrontato questi problemi cercando di sviluppare i processi di delega.

Che cosa cambia per i cittadini ai fini dell’ottenimento di beni e servizi?

L’accorpamento costituisce anche una opportunità per “rivedere” i Servizi portandoli ad una migliore qualità, sia quelli appartenenti all’ex Asl 1 che quelli all’Asl 2, attestandoci sugli standard più elevati.

Uno degli “zoccoli duri” sono le liste di attesa per esami diagnostici e visite specialistiche. Quale il criterio di attuazione per affrontare questo pluriannoso problema?

Il criterio riguarda un doppio tipo di intervento: il governo della domanda e il governo dell’offerta. Nel primo caso significa che non sempre la richiesta di un esame è appropriata (una semplice gonalgia, ad esempio, non giustifica la prescrizione di una risonanza magnetica); nel secondo caso si tratta di aumentare l’offerta delle prestazioni, e per questo si sta collaborando con i medici di famiglia (MMG) e gli specialisti per rendere più “obiettive” le prescrizioni. Inoltre, ci si sta adoperando presso le Strutture private per far erogare più prestazioni soprattutto in presenza di criticità…Ed è anche prevista la gara regionale  del Centro Unificato di Prenotazioni (CUP), e questo richiede alcuni mesi per la concreta attuazione; più consistente invece sarà la possibilità di prenotare esami e visite specialistiche presso le farmacie.

E per quanto riguarda l’assistenza protesica?

Con il nuovo Atto aziendale un altro degli obiettivi è quello di uniformare le procedure sul territorio torinese. È previsto, infatti, che ci sia un Servizio unico di sportello per la fornitura protesica e, uniformando le procedure, saranno favorite (e sveltite) le procedure per le prenotazioni e le successive autorizzazioni per via e-mail, riducendo così l’accesso allo sportello coinvolgendo i fornitori che saranno in diretto contatto con l’Asl; mentre l’accesso allo sportello resterà possibile per i casi di particolare necessità. Tutto questo non sarà un processo immediato ma contiamo di concretizzarlo entro pochi mesi.

Quale il rapporto ospedale-territorio, partendo come esempio dal Servizio di Endocrinologia dell’ospedale Martini che ha un unico medico strutturato, solitamente non sostituito in caso di sua assenza?

Abbiamo ricompattato il settore dell’Endocrinologia, come pure altri. La dottoressa Enrica Ciccarelli, unica endrocrinologa al Martini, fa parte del Gruppo di Endocrinologia dell’Azienda Sanitaria che fa capo all’Unità Complessa dell’ospedale Maria Vittoria, ed è questa Unità che deve provvedere alla sostituzione della dott.ssa Ciccarelli in caso di sua assenza. Ciò è operativo da pochi giorni, considerando gli accordi sindacali e i nuovi posizionamenti dei medici. Questa è la definizione dell’appartenenza cui segue l’operatività a garanzia della continuità del Servizio.

Anche a Torino la popolazione anziana sta aumentando e, di conseguenza, anche i casi di soggetti con patologie croniche e invalidanti. L’Asl è in grado di rispondere alle loro esigenze, soprattutto dal punto di vista assistenziale?

È evidente che l’invecchiamento della popolazione non è solo una realtà locale, e da tempo rappresenta una  “sfida” un po’ ovunque. Noi siamo una delle quattro Aziende sanitarie (Torino 3, Verbano-Cusio-Ossola e Cuneo) che sperimenta il piano della cronicità, e ciò significa la presa in carico del paziente cronico aumentando la risposta alle esigenze della non autosufficienza: l’assistenza domiciliare e l’integrazione socio-sanitaria. C’é quindi una serie di politiche da implementare, che peraltro riguardano anche i rapporti con il Comune.

Vista la carenza del personale infermieristico in particolare, preposto alla assistenza domiciliare integrata (ADI), come si intende farvi fronte?

Uno dei programmi prevede proprio l’incremento del personale infermieristico per l’ADI, mettendo in previsione di bilancio per il 2018 un maggiore investimento. Anche per questo abbiamo uniformato l’ADI sotto un’unica responsabilità con il compito di attuare le modalità operative e la relativa programmazione, e questo entro l’anno.

Alla luce del “Decreto Balduzzi”, l’Asl Città di Torino come intende organizzare le nuove forme di aggregazione della Medicina del Territorio, in particolare le Unità di Cure Primarie (UCP)?

A questo riguardo è stato attivato un tavolo regionale. Noi come Azienda sanitaria abbiamo deciso di adottare il modello ube-spoke (organizzazione dei servizi presenti in tutte le Aziende sanitarie attraverso l’integrazione con i servizi distrettuali e di sanità pubblica, che assicura ai cittadini il livello primario dell’assistenza in un determinato territorio, ndr), quale modlelo flessibile usando le cosiddette Medicine di Gruppo disponibili.

I medici di famiglia (MMG) sono sufficienti per la popolazione torinese?

Complessivamente credo di si. A questo riguardo il problema è che ne avremo una carenza notevole fra qualche anno sul territorio nazionale, e non solo  locale.

Molti MMG ritengono di doversi far carico della gestione proattiva e integrata di pazienti con patologie croniche e complesse, sgravando le Strutture per acuti. Tali medici lamentano quindi l’assenza di una Rete informatica di collegamento comune ai vari operatori, oltre ad avere un carico di lavoro amministrativo ed informatico, ma anche per l’aggiornamento, cui dedicano buona parte del loro lavoro quotidiano. È così?

Il problema informatico esiste ed è un fattore chiave per il quale è previsto un intervento sulle piattaforme tecnologiche; e a riguardo cercheremo di supportare i gruppi dei MMG e, anche se non tutti “brillano” per entusiasmo per partecipare a questi nuovi modelli di gestione del paziente cronico, è auspicabile che la Medicina Generale decida di fare una scommessa in questo senso. Resta il fatto che questo aaccorpamento è una opportunità da ogni punto di vista, sia per la qualificazione dei Servizi che per la gestione economica dell’Azienda.

 

Ernesto Bodini

Da 30 anni svolge un’intensa attività di free-lance in vari settori: medico-scientifico, socio-sanitario e socio-assistenziale. Come addetto stampa, moderatore e relatore ha preso parte a convegni, congressi, workshop, giornate di studio, master e conferenze in ambito culturale, sociale e soprattutto medico-scientifico. È consulente e punto di riferimento per associazioni e organizzazioni di volontariato.

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