Il crimine colpisce l’opinione pubblica, soprattutto perché si tratta di un duplice omicidio caratterizzato da risvolti tali da alimentare l’immaginario collettivo. Va inoltre tenuto in debito conto che allora i mass media sono ancora lontani nel tempo, quindi la cassa di risonanza della comunicazione non ha il ruolo attuale. Malgrado ciò, le brutte notizie viaggiano rapidamente coinvolgendo un ampio numero di persone che, in un modo o nell’altro, sentono il bisogno di vedere, di curiosare sul luogo del crimine; ognuno vuole dire il proprio parere, sostiene la colpevolezza o l’innocenza. Stabilire una pena. Insomma, niente di nuovo sotto il sole.
Il redattore segnala che tra il pubblico vi è Edmondo De Amicis e non riesce a fare a meno di avvertire un senso di paradosso: «Che brutto dramma è cotesto, quanto luttuosamente contrasta quelle gentili figure, quelle care scene della vita che ella ci sa così maestrevolmente e delicatamente porre innanzi».
A questo punto, facciamo però un passo indietro. La vicenda ha
A partire dalla sera dell’8 settembre 1878, domenica, né il dottore né Lussiòta vengono più visti dal vicinato: si pensa che siano andati in campagna e la storia finisce lì. Il mercoledì successivo, un carrettiere di passaggio si rivolge al portiere dello stabile chiedendo se la notizia che il dottor Mustone sia stato ucciso corrisponda al vero. Il portiere è un po’ stupito da quella domanda e quindi prova insistentemente a suonare alla casa dell’anziano medico. Non ottenendo alcuna risposta, si rivolge al nipote di professione avvocato, il quale cade completamente dalle nuvole. Qualche ora dopo, il legale preoccupato, con alcuni amici, decide di entrare nell’appartamento: dopo aver abbattuto l’uscio, la tremenda scoperta. Lucia giace sul letto appoggiata sul lato destro. La faccia riconoscibile, il corpo in avanzato stato di putrefazione. Una larga ferita di rasoio alla gola l’ha uccisa. In un’altra stanza, a bocconi a terra, giace l’anziano.
Le accuse sono pesanti e gravi. La Corte d’Assise di Torino lo ritiene colpevole «di grassazione accompagnata da omicidio, commessa in Torino approssimativamente dalle undici alla mezzanotte dell’8 settembre 1878 nell’abitazione del dottore chirurgo Angelo Mustone, posta al 2° piano della casa di via Lagrange 14, sulla persona del predetto Mustone e di Magis Lucia, fantesca di lui, per avere dopo di essersi introdotto in detta casa col proposito di depredazione, mediante affilato rasoio, cagionato a questa un’enorme profondissima ferita lunga 16 centimetri di varia larghezza, che dal mezzo del muscolo sternocleido-mastoideo di destra si estendeva obliquamente attraverso alla regione sotto-ioidea sino ad interessare il muscolo sternocleido-mastoideo di sinistra, dividendo la cartilagine tiroide sinistra, e penetrando nella cavità laringea con parziale recisione della carotide primitiva destra, ferita questa, sebbene più lentamente, mortale; parecchie minori ferite, una alla spalla destra, opera d’un forchettone lasciatovi infisso, tre all’avambraccio destro, una alla mano, una sesta alla regione toracica, ed alcune ecchimosi per la vita, di queste ultime una fatta pure con rasoio, le altre più probabilmente con arma pungente e tagliente; le ecchimosi derivate dalla caduta o pressioni violente e colpi. Depredando quindi il Mustone di quattro obbligazioni del prestito di Napoli e di tre obbligazioni dello Stato, di cui due del 1849, la terza del 1850, segnate coi numeri 9692, 10268, 10424, oltre ad altri oggetti di valore; e la Magis di un paio di orecchini con smalto azzurro».
Il processo fa epoca, ma non dissipa tutte le ombre sul caso e forse proprio per questo la pena di morte viene commutata, il 23 settembre del 1879, nei lavori forzati a vita. Il Pipino è rinchiuso nel carcere di Final Borgo dove continua a protestare la propria innocenza, fino al 29 ottobre del 1901, quando la pena perpetua viene commutata in transitoria, chiudendo definitivamente una tragica vicenda che ha appassionato l’Italia intera.