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Casa Fenoglio-Lafleur, capolavoro del Liberty torinese

In alcuni quartieri di Torino la presenza di edifici in stile Liberty è particolarmente fitta, soprattutto in quelle zone della città che conobbero uno sviluppo edilizio significativo nei primi anni del Novecento, potendo contare su una committenza facoltosa, borghese e imprenditoriale. 

Fenoglio
Casa Fenoglio-Lafleur: dettaglio della torre-bovindo angolare con le grandi vetrate e i decori in ferro.

Uno degli esempi migliori di Liberty torinese, in grado di competere per grazia estetica con le maggiori opere di respiro internazionale, è la palazzina Fenoglio-Lafleur (in alcuni testi La Fleur) che fa bella mostra di sé lungo l’asse stradale di corso Francia, al limite nord del quartiere di Cit Turin, all’angolo con via Principi d’Acaia.

L’edificio venne realizzato a partire dal 1902 (in questa data risulta depositata la richiesta di costruire alla Commissione di Ornato) su progetto dell’ingegnere e architetto torinese Pietro Fenoglio perché diventasse la sua casa-studio (da condividere con i fratelli), secondo un uso consolidato in Francia e di cui a Torino abbiamo alcuni esempi. Tra questi, ricordiamo la palazzina Della Vedova, che fu casa-studio di Pietro Della Vedova, scultore di origine valsesiana, allievo di Vincenzo Vela, e il neoclassico palazzo Bogliani (poi Rey), costruito su progetto dell’architetto Giuseppe Formento come casa-studio dello scultore Giuseppe Bogliani.

Pietro Fenoglio, esponente di spicco del Liberty a Torino, fu nello stesso tempo progettista e committente della palazzina di corso Francia, trovandosi quindi nelle condizioni ideali per poter dare libero sviluppo al suo estro creativo.

Sembra, però, che Fenoglio, disattendendo le intenzioni iniziali, non abbia mai abitato la palazzina, perché già nel 1904 l’edificio risulta ceduto a Giorgio Lafleur (da qui, la doppia denominazione della casa, Fenoglio-Lafleur), imprenditore attivo nel settore automobilistico e dei trasporti, il cui cognome presenta curiose quanto del tutto casuali assonanze con “stile floreale”, l’altro nome che ebbe fortuna in Italia per designare l’Art Nouveau.

Come ricorda una targa posta sulla palazzina, morendo nel 1910, l’imprenditore Lafleur lasciò l’edificio a Casa Benefica, istituzione assistenziale torinese fondata nel 1889 da Luigi Martini, avvocato e pretore urbano di Torino, che intendeva in questo modo dare un sostegno concreto ai “giovani derelitti” della città.

La palazzina, con i suoi caratteri estetici, aderisce pienamente al gusto della cosiddetta “Art Nouveau” (Arte Nuova) che, nata a Bruxelles negli anni Ottanta dell’Ottocento, aveva avuto la sua consacrazione in Italia proprio nella città di Torino, ai tempi dell’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna tenutasi nel 1902 nei grandi padiglioni realizzati lungo le sponde del fiume Po su disegno dell’architetto Raimondo D’Aronco, che in precedenza aveva lavorato in Turchia per la ricostruzione di Istanbul dopo il terremoto del 1893.

In altre regioni d’Europa, l’Art Nouveau aveva assunto una forte connotazione di rottura rispetto al passato e alla tradizione accademica, in aperta opposizione al linguaggio classicista e agli stili storicisticamente rivisitati, come ben si può desumere dal modo con cui, nei differenti Paesi europei, il nuovo stile veniva chiamato, ad esempio Sezessionstil in Austria, Modern Style in Inghilterra e Stati Uniti, Jugendstil o Reformstil in Germania, Secesia in Boemia e Moravia, e così via.

In Italia, per designare il nuovo movimento artistico, si adottò il nome “Liberty”, dal nome di un celebre emporio londinese, fondato nel 1875 da sir Arthur Lasenby Liberty, specializzato nella vendita di stoffe ed elementi d’arredo che, per i motivi ornamentali ispirati al mondo vegetale e animale, erano considerati particolarmente vicini alla poetica dell’Arte Nuova nel suo proporre un’estetica basata essenzialmente sull’osservazione e imitazione della natura. Proprio la natura, nelle sue molteplici espressioni vitali, costituiva il principale, se non esclusivo, orizzonte e fonte di ispirazione per la produzione di questi artisti, che si consideravano liberi dai canoni classici e dai condizionamenti accademici.

I torinesi ebbero modo di conoscere e apprezzare gli oggetti proposti dall’emporio Liberty di Londra nelle due esposizioni organizzate a Torino nel 1898 e nel 1902, organizzate allo scopo di mettere in mostra i progressi compiuti in campo tecnologico. Da questo stretto legame dell’Arte Nuova con la natura, inoltre, deriva l’altro nome con cui il movimento venne designato in Italia, cioè arte floreale o stile floreale, proprio per la prevalenza dei richiami naturalistici e delle linee curve e sinuose (come scrisse il torinese Emilio Thovez, critico d’arte e letterario, poeta e pittore, lo Stile Nuovo è “nella forma fedelmente naturalistico e nella sostanza nettamente decorativo).

Fenoglio
Casa Fenoglio-Lafluer. La targa sotto la torre-bovindo recita: “Questo edificio pervenne alla Casa Benefica per legato munifico di Giorgio Lafleur. A perenne memoria. MCMX” (1910).

In un contesto culturale improntato a una marcata volontà di rinnovamento, Torino si affermò come una vera e propria capitale dello stile Liberty, che qui conobbe molteplici declinazioni e reinterpretazioni, ispirate a “tutte le scuole dell’Arte Nuova, da quella franco-belga a quella austro-tedesca, fino a quella anglosassone o catalana” (Coda N., Fraternali e Ostorero in “Alla scoperta della Torino Liberty. 10 passeggiate nei quartieri della città”).

La palazzina Fenoglio-Lafleur, con la sua imponente torre-bovindo angolare, originale soluzione ideata da Pietro Fenoglio quale elemento di raccordo tra le due maniche dell’edificio, è un formidabile punto focale visivo per chi percorre corso Francia e via Principi d’Acaia. La composizione architettonica riassume in una mirabile sintesi le arti applicate, con le grandi vetrate colorate, gli elementi in ferro battuto che sormontano la cimasa, formando insieme con il vetro giallo un coronamento a petali, le decorazioni in litocemento o pietra artificiale, il cromatismo dei fregi pittorici con richiami naturalistici e floreali.

Come si può intuire osservando l’edificio, nel Liberty il contributo degli artigiani, esperti nella lavorazione del ferro, del vetro e di altri materiali, è essenziale per la riuscita dell’insieme architettonico, in coerenza con l’idea portante di promuovere l’unicità del lavoro manuale e artigianale in opposizione alla produzione seriale e spersonalizzante di oggetti d’uso nelle fabbriche, proposito che aveva già costituito un punto cardine del movimento “Arts and Crafts (Arti e Mestieri) sorto in Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento proprio in risposta alla crescente industrializzazione.

Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, la grande stagione del Liberty, insieme con l’idea di diffondere e “socializzare la bellezza” che essa portava con sé, ebbe tristemente termine, lasciando spazio in architettura alla progressiva prevalenza della “funzione” sulla forma, che sarebbe sfociata nell’affermarsi del razionalismo e del funzionalismo.  

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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