TORINO. La crisi dell’edilizia sembra non avere fine a Torino. È dal 2008 che i costruttori fanno i conti con una crisi del genere, mai vista così aggravata dall’unità d’Italia ad oggi: in dieci anni, senza contare l’indotto, si sono visti dimezzare gli iscritti alla Cassa Edile, da 18 mila a 9 mila, con una riduzione del 40% delle imprese e del 46% a partire dall’anno successivo e fino al 2017; ma il quadro non sembra ancora essere migliorato di quest’anno, lo conferma il presidente del Collegio Costruttori, Antonio Mattio, parlando di una “situazione disastrosa”. Su un fronte risultano pochi cantieri e ancor meno opere pubbliche da realizzare, oltre alla difficoltà di accedere al credito bancario; mentre sull’altro il “cancro della burocrazia” – assieme ad una pressione fiscale che vede Imu e Tari coprire il 60% delle entrate tributarie del Comune – si trasforma in una “leva al ribasso”. Si tratta di un vero e proprio assedio, come sottolinea Mattio – alla guida del Collegio dallo scorso novembre – non senza “una forte preoccupazione per l’unico settore economico ancora fermo in termini di investimenti e occupazione. Come aver avuto 18 ‘casi Embraco’ in un decennio, due crisi all’anno”.
Decisamente migliore è la situazione oltre Ticino. Secondo quanto emerge dall’osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni milanesi – presentato nel febbraio 2018 presso la sede dell’Ance – le previsioni preannunciavano una crescita del 2,4% degli investimenti totali in costruzione. In particolare, di una crescita del 2,8% degli investimenti in nuove abitazioni e dell’1,3% in opere di riqualificazione, sottolineando però che maggiori effetti positivi si sarebbero potuti ottenere con l’approvazione di misure fiscali orientate alla rigenerazione urbana. Inoltre, sul fronte delle opere pubbliche, l’associazione presumeva una crescita degli investimenti del 2,5%, sottolineando che il risultato teneva conto degli stanziamenti messi in campo dal Governo, dall’avvio della ricostruzione delle zone terremotate e dall’approvazione, a fine 2017, del contratto di programma Anas. Secondo tale studio, il risultato sarebbe quindi ottenibile solo in caso di superamento degli ostacoli ai meccanismi di spesa della Pubblica Amministrazione.
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