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Bastia di Mondovì, solitaria si erge fra prati e ondulazioni del terreno la chiesa di San Fiorenzo

Storia di un martire e una “Bibbia dei poveri” del Quattrocento monregalese

La chiesa dedicata a San Fiorenzo sorge in un ambiente che sorprende, fra prati e ondulazioni del terreno, isolata e solitaria, nel territorio di Bastia Mondovì. L’edificio di culto ha una storia originale e complessa. Intorno al X secolo qui sorgeva un “martirium”: un’edicola che, secondo la tradizione, custodiva le spoglie del martire Fiorenzo il quale, secondo alcune interpretazioni storiche, era un componente della Legione Tebea, mentre, secondo altri, era un santo martire locale ucciso dai Saraceni durante una delle loro incursioni. L’edicola viene ampliata nei secoli XI-XII e si trasforma in una pieve a pianta quadrata con volta a crociera, decorata con pitture romaniche, poi ricoperte da altri affreschi. In quel periodo storico, Bastia è una Villa convenzionata di Mondovì, alla quale ha prima dato le origini ed ora ne segue le sorti. Viene affidata in feudo da Casa Savoia, nel 1409, alla famiglia Della Torre, e trova in Bonifacio Della Torre il mecenate che, con ardore e passione, si dedica al suo ampliamento, realizzando la chiesa che oggi possiamo ammirare, il cui tetto a capriate in legno è stato rifatto dopo il crollo causato da una nevicata del 1972.

L’abitato di Bastia si trovava su una antica “Via del sale”, il viandante che varcava l’ingresso della chiesa doveva rimanere colpito dalla fantastica scena colorata che si svolgeva sotto i suoi occhi sulle pareti policrome: una “biblia pauperum”, una vera e propria “Bibbia dei poveri” che ancora oggi affascina, ricca di misticismo e intrisa di religiosità; attraverso le storie dei Santi, della Vita e della Passione di Cristo, del Paradiso e dell’Inferno, si realizza una catechesi per istruire, confortare e ammaestrare. Manca la conclusione con il “Giudizio Universale” che non serve, quando la fede e le opere promettono già il Paradiso e la vita eterna, mentre l’Inferno è riservato ai peccatori che non si sono pentiti. Nel XV secolo si provvede al suo ampliamento, grazie al nobile mecenate Bonifacio Della Torre. L’interno è interamente coperto da 326 mq di affreschi quattrocenteschi che rappresentano il ciclo più esteso del Piemonte, ripartito in 51 riquadri, più le figure nel presbiterio, incorniciati da fregi. Gli affreschi vengono realizzati da artisti diversi, con una omogeneità di stile, terminati il 24 giugno 1472. Sono incerte le attribuzioni, ma probabilmente intervengono i principali pittori operanti all’epoca nella zona: Antonio da Monteregale, Giovanni ed Enrico Mazzucco, i fratelli Biazaci di Busca, forse il Canavesio. Si riscontrano stranezze e curiosità: il deserto vicino alle colline innevate induce a domandarsi se qualcuno conoscesse o avesse mai visto il deserto, fra i pittori o maestranze…

La chiesa appare oggi come doveva essere alla fine del Quattrocento, per quanto riguarda la facciata, la navata e il presbiterio (ad eccezione del campanile e della cappella di sinistra dove si dovrebbero essere custodite le spoglie di San Fiorenzo, come testimonia un’antica lapide che recita: “D.o.m hac iacent in hara osa d.flor m.ex leg. teb” ). Il portale della facciata, in pietra, ha una lunetta con la Madonna col Bambino tra S. Fiorenzo e S. Giovanni Battista. Gli affreschi raffigurano, a colori brillanti, i principali temi dell’arte quattrocentesca tardo gotica delle Alpi Occidentali. Sulla parete d’ingresso, in controfacciata, sette riquadri narrano “Scene dell’infanzia di Gesù”, tra le quali troviamo rappresentate scene dai Vangeli apocrifi del “miracolo del grano” e del “miracolo della palma”; il matrimonio di Maria (con ben quattordici pretendenti, dallo Pseudo Matteo apocrifo); in altri due riquadri sono raffigurati San Lazzaro e una dama. La parete destra presenta da un lato un gruppo di nove riquadri (la Madonna col Bambino tra i Santi Fiorenzo e Sebastiano) e altri otto riquadri con scene delle “Storie di San Fiorenzo”, soggetto assai raro nelle rappresentazioni dell’epoca, raccontato con scene vivaci e figure eleganti. Al centro, un riquadro raffigura a sinistra la “Gerusalemme Celeste e l’incoronazione della Vergine” al di sotto le “Opere di Misericordia”; a destra, contrapposto, l’“Inferno” sovrasta la “Cavalcata dei Vizi”. Gli angeli musicanti ci presentano un catalogo degli strumenti musicali medievali; inoltre, i diavoli che torturano i dannati ricordano quelli giotteschi di Padova e quelli del Camposanto di Pisa. Qui Satana artiglia e maciulla alcuni peccatori tra cui: leggiamo nei cartigli, “procuratores e advocatores”, quasi un contrappasso rispetto ai ruoli sociali medioevali e rinascimentali. Sopra le figure di avvocati e procuratori si vede un diavolo con quattro facce, il cui significato rimane ad oggi oscuro.

Dall’altro lato della parete destra vi sono dodici quadri con la “Storia di S. Antonio Abate”; l’ultimo riporta la data e l’indicazione del committente e mecenate, il Conte Della Torre: “MCCCCLXXII die XXIII MENSIS iunii hoc opus fecit fieri facius turrinus”. La storia è tratta dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, monaco e poi Vescovo di Genova, che ha scritto la prima grande opera agiografica. Sulla parete sinistra, in ventidue scomparti su due fasce sovrapposte, è raffigurata la “Passione di Cristo”, purtroppo danneggiata dall’umidità nella parte inferiore. Le due pareti sono concluse in alto da un fregio che reca medaglioni con i volti di sei profeti a sinistra e sei patriarchi a destra. Nel presbiterio ammiriamo: nella parete destra San Giorgio, in fondo S. Sebastiano, in alto una Crocifissione con il Cristo tra i due ladroni, ai lati la Madonna con le pie donne, la Maddalena e S. Giovanni; sotto questa scena vi è l’affresco di una delicata Madonna col Bambino tra i Santi Fiorenzo e Martino, nei riquadri San Michele, San Bartolomeo e S. Sebastiano. Nella volta del presbiterio, con i costoloni finemente decorati, le quattro unghie recano il Cristo e i quattro Evangelisti.

In chiesa, durante le aperture straordinarie o su richiesta, sono disponibili, con un’offerta, alcune copia di un’opera preziosa: Vita e martirio di SAN FIORENZO alla Bastia di Tanaro – Invenzione delle reliquie del Santo e grazie da lui ottenute – Cenni storici raccolti dal M. Rev. D. Gianbattista Quaglia; a me è toccata la copia n. 234. Si tratta di una ristampa anastatica del 2001, a cura della allora “Associazione Culturale S. Fiorenzo, in mille copie numerate, di un volumetto pubblicato nel 1887 dalla Tipografia A. Fracchia di Mondovì e ormai diventato una rarità da bibliofili. Il volume mette in relazione il martire della Legione Tebea con Bastia attraverso la storia, con dotte notazioni che gli eruditi erano soliti fare in quei tempi (settecenteschi, come si scopre leggendo il libro). «Il martirio dei Santi Tebei dal cardinale Baronio si dice occorso nell’anno del Signore 297, addì 22 settembre. Ma sebbene di San Fiorenzo si trovino alla Bastia scarse le memorie, smarrite forse per causa delle guerre e triplicate pestilenze, tuttavia l’antica e continua tradizione dà il suo martirio addì 14 giugno dell’anno stesso. In questo giorno si è sempre festeggiato il Santo, ed ancora di presente si festeggia con divozione particolare dal popolo della Bastia nella Chiesa a lui dedicata, la quale, secondo la medesima tradizione, è appunto il luogo, dove sparse il suo sangue nel martirio».

L’autore scrive questa storia in quanto «L’anno del Signore 1711, e addì 21 del mese di giugno fu eletto alla reggenza della Chiesa Parrocchiale della Bastia, sotto il titolo di San Martino, il Molto Illustre e rev. Signore Gio. Batt. Quaglia, Cittadino di Mondovì, Dottore collegiato d’ambe leggi (…)». Don Quaglia stesso provvede a far costruire e mettere in posa le porte alla chiesa, che prima di lui era aperta ed era diventata ricettacolo di animali, ricovero per viandanti, deposito delle uve raccolte nelle vigne attigue.

Nel 1719 si verifica un accadimento importante per questa chiesa, che leggiamo ancora dal citato don Quaglia: una prevista demolizione si trasforma in una scoperta e una rinascita! «Nella domenica poi prima dell’Avvento dell’anno 1719, la quale cadeva addì 3 di dicembre, dopo vespro si recarono alla Capella di San Fiorenzo il Parroco con alcuni Ecclesiastici ed il capomastro Servetto, e questi cominciò a demolire l’altare derelitto, il quale era tutto dipinto con figure antichissime. Sul davanti era dipinto San Fiorenzo vestito da guerriero Tebeo, dalla parte del Vangelo era dipinto San Giovanni Battista, e dalla parte dell’Epistola nulla più potevasi distinguere, essendo del tutto svanita la pittura. Sussisteva ancora sotto l’altare un grande scalino di mattoni ad uso predella, e, nel mezzo della parte superiore dell’altare, il sito vuoto già occupato dalla pietra sacra. Quando giunse il capomastro Servetto alla metà della demolizione, fu scoperta nel bel mezzo dell’altare una specie di urna formata da quattro lunghi mattoni collocati a forma di rettangolo uniti con calcina, e coperti da due pietre scabre. Dentro quest’urna eravi una raccolta d’ossa, delle quali neppure una più piccola parte era tarlata, ma tutte fresche, sebbene per la quantità degli anni e della umidità avessero dovuto essere marcite».

Il ritrovamento fa scalpore, don Quaglia predispone una guardia permanente in loco, per evitare danni e tenere lontani eventuali malintenzionati, e si allontana. «A metà del suo cammino il Parroco, e più persone che erano con lui, videro partirsi dalla Chiesa del Santo un piccolo lume simile a quello di lucciola estiva, il quale si portò a dirittura alla Chiesa Parrocchiale, e, dopo di aver dato un giro attorno al campanile, scomparve del tutto».

Il Vescovo di Mondovì effettua una prima ricognizione sui resti rinvenuti; quindi «fattosi qui un secondo atto di ricognizione, il sig. Negrone, Dottore in chirurgia, attestò esservi tutte le ossa, che compongono il corpo umano, meno una parte del capo, ed essere quelle d’un uomo adulto; essendosi inoltre rotto un osso della gamba si vide ancora rosseggiante di sangue al di dentro».

I passi successive della narrazione storica ci riportano in pieno al clima di quel tempo e al valore delle reliquie per una fede che lega il culto delle reliquie stesse alla ricerca della guarigione del corpo

«Il suddetto sig. Vicario Generale, stupito al vedere ancora così belle quelle sacre ossa, si prese un pezzetto di costola e ne regalò l’altra parte di essa insieme ad un dente al Parroco. Questi fece riporre la parte di costola ed il dente in un bel reliquiario, che si trova in sua casa, dove ogni giorno concorrono persone inferme, non solo del luogo, ma circonvicine ed anche forestiere per farsi con quelle Reliquie segnare. Formati gli atti opportuni, riportata di nuovo in Chiesa la cassetta e chiusa in un armadio, il signor Vicario Generale esattamente informò di ogni cosa a Roma la Sacra Congregazione, la quale, visti ed esaminati tutti gli atti, dichiarò sante le ossa ritrovate».

Ecco, il cerchio si chiude: Fiorenzo, il Martire della Legione Tebea ha trovato casa, un luogo per il culto della sua memoria, con la conferma della Chiesa. Manca ancora un capitolo a questa lunga storia: quali grazie ha concesso San Fiorenzo al popolo di Bastia e di Mondovì nei secoli successivi al suo definitivo ritrovamento? L’elenco sarebbe lungo, mi limito a riportane due.

Siamo nel 1701: «Una certa Caterina vedova del fu Giovanni Manfreddi, per portarsi a sentire la Santa Messa, il 14 giugno (…), dovendo passare il fiume Tanaro dalla parte della Pieve, vicino alla cascina tenuta dal Reverendissimo Capitolo di Mondovì, , saliva sopra due tinozze di legno insieme legate per fare il tragitto; ma nel bel mezzo del fiume queste si capovolsero e si affondarono. In così imminente pericolo di naufragio, quando già ritrovavasi sott’acqua, essa invocò l’aiuto di San Fiorenzo, ed in un istante si ritrovò sana e salva all’altra sponda del fiume, non sapendo pur essa comprendere il come. In ringraziamento per così straordinaria grazia fece appendere un quadro votivo, che la ricorda, all’altare del suo liberatore, come al presente ancora si vede».

Nel 1720 avviene un fatto inspiegabile (miracoloso?) legato alla vita contadina. «Dalla cascina detta delle Murazze, lontana dalla Chiesa di San Fiorenzo un tiro di archibugio, conduceva il massaro Giacomo Botto, nel 1720, il 23 aprile, un paio di buoi aggiogati al carro. Questi giunti a mezza strada, tra la cascina e la Chiesa, sdrucciolarono in un fossato, all’altezza di quattro o cinque trabucchi. Egli invocò prontamente l’aiuto di San Fiorenzo, e quando si credeva di rinvenire i buoi tutti sfracellati, li vide invece nel fossato, in piedi, ancora attaccati al carro, e senza aver ricevuto alcun danno».

In conclusione, troviamo alcune notizie storiche sul luogo. Bastia era feudo della nobile casata Parpaglia, cui subentrano i Conti Vasco. Della antica fortezza, costruita a difesa dalle invasioni da sud, rimane soltanto una torre. Inoltre, «Il Sancta Santorum resta separato dalla Chiesa con una grande cancellata di legno, ed ha anche esso tutta la volta figurata in pitture antiche come le già accennate, e che rappresentano i quattro Evangelisti.»

Che cosa ne è stato dello scrittore di quest’opera? Ce lo svelano le Note (pag. 68): «Il cadavere del Vicario Gio. Battista Quaglia venne sepolto nel Presbiterio della Chiesa Parrocchiale, dalla parte del Vangelo, in distanza di circa due metri dall’infimo gradino dell’altare maggiore, e di un metro dal muro paretale». Il suo corpo verrà esposto alla popolazione e ai fedeli per ben tre volte: nel 1796, nel 1846 e nel 1886, quasi una reliquia fra le reliquie del Santo Martire Fiorenzo.

Ho visitato la chiesa di San Fiorenzo in un caldo pomeriggio estivo, accompagnato dal Signor Aldo Clerico, in una lunga ed esaustiva visita, durante la quale egli ha saputo unire fede, competenza storica e passione personale. Di questo, ringrazio lui e la Associazione culturale San Fiorenzo Onlus.

Le visite sono guidate dalla “Associazione culturale San Fiorenzo Onlus”
Info: sanfiorenzo@infinito.it – 338.4395585 – 0174.60233

Ezio Marinoni

Ezio Marinoni

Ezio Marinoni (Torino, 1962), dal 2018 è iscritto all’Albo dei Giornalisti del Piemonte. Ha collaborato al trimestrale Plus Magazine con la rubrica “Emozioni tra arte cinema e libri” e con la testata Agenda Domani. Attualmente è collaboratore del blog ligure Trucioli e redattore della testata on-line Civico20News, su temi di arte, storia e territorio. Una sua silloge poetica è compresa nel III volume della “Storia della Letteratura Piemontese”, curata da Camillo Brero (Piemonte in Bancarella, 1981) È autore delle seguenti opere: Il libro e l’affresco di Elva (Edizioni Mille, 2019) - Una vita di versi (Crearte, 2020) - Elva. Il mio sguardo (Edizioni Mille, 2022) - Torino bianca e noir (Graphot, 2023) con Milo Julini - Racconti ritrovati (2023).

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