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Arturo Ambrosio, il re indiscusso del cinema muto nella Torino di inizi Novecento

TORINO. La passione per i progressi della cinematografia lo portarono dove, forse, con 1478 film realizzati, non avrebbe pensato di arrivare se persino i fratelli Lumière, inventori, produttori, e cineasti si recarono a Torino per conoscerlo. Il nome del torinese Arturo Ambrosio, classe 1870, è legato, in particolare, alla “Film Ambrosio e C.”, anche se iniziò a lavorare come fotografo, dopo un’incertezza, pare, sulla professione da intraprendere.


Arturo Ambrosio (al centro) con Rodolfo Valentino ed Emil Jannings

Inizialmente la curiosità per la fotografia lo spinse a frequentare un corso di specializzazione a Basilea, offerto dalla ditta Sutter, abbandonando in seguito l’azienda di tessuti in cui lavorava, per  aprire un negozio di articoli ottici e fotografici in via S. Teresa a Torino. La clientela era formata soprattutto da fotoamatori dei ceti benestanti, che seguirono ammirati l’intraprendenza di Ambrosio, il quale divenne fornitore di casa reale, dopo aver ideato l’Ambrosio, una macchinetta fotografica a cassetta formato 9 × 12 (in concorrenza con quella formato 6½ × 9 fabbricata dalla ditta Murer di Milano) con lastre prodotte dalla Eastman Kodak.

Una caricatura dl Arturo Ambrosio

Pioniere della sua epoca riguardo le potenzialità che avrebbe potuto avere la produzione cinematografica a Torino, e non solo, scelse quindi d’intraprendere un viaggio a Parigi da Charles Pathé, altro avanguardista del settore, il quale fondò con i fratelli la casa di produzione e distribuzione Pathé Frères. Il francese donò all’italiano una delle proprie macchine da presa, e, quest’ultimo, proseguì il suo viaggio di ricerca in Inghilterra e in Germania, per poi tornare nel capoluogo piemontese. Qui perfezionò la perforazione della pellicole, e costruì le prime macchine da presa, riprendendo, ad esempio, la prima corsa automobilistica Susa-Moncenisio; le manovre degli alpini al colle della Ranzola alla presenza della Regina Margherita; l’inaugurazione del rifugio Quintino Sella.

“Le mariage d’Antoinette” fu girato da Arturo Ambrosio nel 1907

«Quando ancora Kodak e Eastman – disse Ambrosio intervistato dal giornalista Moccagatta – ci inviavano pellicole non perforate, noi costruimmo e producemmo le prime “perforatrici”. Fu per questo che iniziò la mia amicizia con Samuel Goldwyn; venne da me e, vista la perforatrice, spalancò gli occhi; la volle a tutti i costi; gliela vendetti a 4.700 lire: fu un affare».

Fu nel 1905 che nacque la Film Ambrosio, la società che possedeva un rudimentale teatro di posa, scritturò i primi attori, e, l’anno successivo, licenziò 30 film drammatici, 22 comiche, 31 documentari e cinque “congedi”, un genere inventato da Ambrosio stesso, che rimase fino al 1909 una caratteristica della casa, attraverso cui si narrava di vicende patetiche, o audaci sullo sfondo dei parchi di Stupinigi, e delle rive del Po. In seguito “Anonima Ambrosio”, società per azioni, prese il posto della Film Ambrosio, e arrivarono i divi, tra i quali Eleonora Duse. Diventata una casa produttrice di livello internazionale con garanzia di qualità del prodotto, vide crescere la richiesta di nuove pellicole, ragione per cui il fondatore decise di costruire un nuovo teatro di posa in via Mantova, dove si producevano fino a dodici film al mese.

La storia di questa mirabolante scalata al successo si concluse nel 1943, ma prima Ambrosio si trasferì a Roma, nel dopoguerra, e la casa di produzione entrò nell’Uci (Unione cinematografica italiana); nel 1919 il torinese diede vita, insieme con un industriale lombardo, a una nuova casa la Zanotta-Ambrosio, che abbandonò, e nel 1923 girò “Quo Vadis?”.

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