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ANNA CHARLOTTE BARBERA

TORINO. Ama il canto, i balli caraibici, l’equitazione e il pattinaggio. Ha un curriculum di tutto rispetto per i suoi 32 anni, ricco di esperienze lavorative e premi ottenuti, ma dice di sentirsi ancora all’inizio. Lei è Anna Charlotte Barbera.

Come nasce in televisione, teatro e cinema la Charlotte attrice e doppiatrice?

Mi sono diplomata nel 2012 alla Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, da allora ho lavorato principalmente in teatro, eccetto qualche piccola apparizione in televisione per spot e fiction. Nel 2014 ho iniziato a muovere i primi passi come doppiatrice, è avvenuto quasi per caso e mi ci sono appassionata, scoprendo che mi diverte molto lavorare con la voce. Aprendo il cassetto dei miei sogni c’è però anche il cinema: Emanuele Crialese, Paolo Virzì, Carlo Mazzacurati sono alcuni dei registi italiani da cui vorrei avere l’onore di essere diretta.

Proviamo a immaginarti da bambina: recitavi davanti allo specchio, o davanti ad amici e parenti?

Da piccola ricordo che a scuola facevo le imitazioni di maestri e professori, mentre a casa spesso prendevo in ostaggio mia madre: la obbligavo a lunghe sedute sul divano e le facevo i miei show fatti di balletti, canzoni, interviste. Ogni tanto registravo anche programmi radiofonici in cui facevo tutto io, dalla conduttrice all’ospite del giorno, alla radiocronaca sportiva. A seconda delle fasi dell’infanzia ho desiderato intraprendere diversi lavori: cantante, avvocato, fumettista, chirurgo. Forse a un certo punto ho deciso di fare l’attrice per poterli fare tutti quanti!

La prima volta che sei salita sul palcoscenico di un teatro com’è andata? Quale ruolo interpretavi?

Ho diverse immagini e sensazioni che riecheggiano nella mia memoria se ripenso al teatro negli anni dell’infanzia: sono stata odalisca nel saggio della parrocchia, poi l’anno successivo ricordo che volevo assolutamente il ruolo della gattina, ma ero troppo piccola, e affidarono la parte a una più grande, più alta e più bella di me, quindi dovetti accontentarmi del ruolo della puzzola… ero disperata! Imparavo già allora a fare i conti con alcuni dei grandi nemici degli attori: l’invidia, l’ambizione, la delusione, il non sentirsi all’altezza. Poi al liceo iniziai a frequentare il laboratorio di teatro, e dopo le prime repliche ricordo che alcuni ragazzi che non conoscevo mi fermarono in corridoio per farmi i complimenti. Scoprivo allora che sapore avevano la gratificazione e il successo. Nel mio piccolo, tra le mura della scuola, mi sentivo una star.

Hai conseguito una laurea in Comunicazione per le Istituzioni e le Imprese (votazione 110/110), studiando negli anni in cui ti formavi alla Scuola del Teatro Stabile di Torino. In quale modo sono congiunte queste due strade nella tua vita attuale?

La laurea risponde a un lato di me pragmatico, in quanto da ragazzina ho sempre avuto un atteggiamento dicotomico nei confronti del mio futuro: da un lato desideravo essere una donna in carriera, autonoma e padrona del mio destino, mentre dall’altra sognavo l’arte. Oggi sono felice di aver concluso l’università, nonostante le otto, a volte dieci ore al giorno in accademia. Scrivevo la tesi in mensa durante la preparazione dello spettacolo di fine anno quando non toccava a me provare il personaggio. Il mio percorso di studi mi ha fornito gli strumenti che attualmente mi servono per portare avanti un progetto artistico che mi sta molto a cuore. Si tratta del “Menù della Poesia”, un format d’intrattenimento artistico, che ha come obiettivo coinvolgere e recuperare un pubblico non avvezzo alla fruizione teatrale, servendo portate a base di rime e versi: poesia à la carte per nutrire animo e intelletto, perché non è vero che “con la cultura non si mangia”.

Cosa ti diverte fare e cosa ti appassiona maggiormente?

In ambito lavorativo il Menù della Poesia mi appassiona molto. Il progetto esiste da ormai otto anni, e sono fiera di avere finalmente fondato l’associazione culturale proprio quest’anno. Nella vita privata mi piace camminare in montagna, andare al cinema, mangiare e bere bene, cucinare per le persone che amo. Sono sempre molto felice di passare del tempo in compagnia dei miei amici, che sono tanti. Sono fortunata.

Nel tuo curriculum alla voce “skills” c’è la capacità di riprodurre cadenze in piemontese, veneto, toscano, romano, napoletano, siciliano: studio o predisposizione?

Non ho mai studiato i dialetti purtroppo, e penso che la mia sia una questione di orecchio. Anche per le lingue straniere è così: sembra che ne parli addirittura tre, ma la verità è che la do a bere perché ho una buona pronuncia.

Qual è l’esperienza lavorativa più bella che hai vissuto e con quali attori?

Difficile rispondere, sono tante. A Genova, diretta da Eleonora D’Urso, era meraviglioso regalare ogni sera un’ora di risate al pubblico; in Sicilia l’Elettra di Giuliano Scarpinato vibrava nella splendida cornice del teatro greco di Segesta; a Trento, attraverso l’incontro con un giovane regista ispano-polacco, Mikloaj Bielskij, ho avuto la possibilità di confrontarmi con aspetti e risorse della me attrice che non conoscevo. È molto bello quando attraverso il lavoro avviene un processo di scoperta.
Un attore che mi ha insegnato tanto è stato Massimo Popolizio, mentre Laura Marinoni è in assoluto la mia diva preferita, una fantastica stellina luminosa.

L’insegnante e l’insegnamento che ti sono rimasti nel cuore?

Un mio grande maestro è stato Nikolaj Karpov, scomparso prematuramente nel 2014. La sua dipartita mi ha fatto sentire orfana a lungo.
L’insegnamento più grande credo me lo abbia trasmesso mia madre: ha a che fare con il modo di affrontare la vita, senza temere le sfide che ti sottopone, poiché il disegno divino è più grande di quanto noi siamo in grado di percepire.

Qual è il tuo legame con Torino?

Torino è la mia base, amo questa città anche se sento di dover ricercare nuova linfa artistica altrove. Difficile però lasciare il fiume, la collina, il Balon, il Valentino, le piazzette, i vicoli e le botteghe del Quadrilatero Romano, le piole, il vino, i tomini, i ravioli…

Di cosa ti stai occupando adesso?

Questo mese è stato inaspettatamente ricco di lavoro e belle notizie. Ho appena vinto un premio a Napoli, e sono in finale per un altro concorso importante a Bologna, dove è richiesta l’esibizione con un monologo che sto preparando per l’occasione, ma ho pochissimo tempo e sono terrorizzata. La prossima settimana, poi, partirò per Roma, dove rimarrò sino a fine mese per partecipare al “Pigneto Film Festival”; qui lavoreremo con giovani registi provenienti da diverse parti d’Europa, avremo una settimana per realizzare un cortometraggio, e sarà una bella sfida. Infine mi dedico costantemente al Menu della Poesia, e prossimamente avremo un po’ di date sparse per l’Italia. L’associazione richiede molto lavoro, e tra i miei obiettivi primari c’è proprio la crescita di questo progetto che mi sta così tanto a cuore.

Le assomigli molto… cosa ritrovi in te di tua madre Anna Maria Barbera, nota al pubblico soprattutto per il personaggio di “Sconsolata”?

Da mia madre credo di aver preso l’ironia e il desiderio di raggiungere un pubblico fatto di persone, di cuori. Crescendo, sto capendo che non m’interessa il teatro autoreferenziale, quello cioè che si rivolge prevalentemente agli addetti ai lavori, che oggi compongono la percentuale più alta dei frequentatori di teatro. È importante che vi sia un pubblico colto e preparato, ma è altrettanto urgente recuperare un pubblico che nel tempo si è disinteressato al teatro perché ne è stato escluso da anni di ricerca e sperimentazione che hanno finito per renderlo poco fruibile. Bisognerebbe anche rivedere la politica dei prezzi, spesso proibitivi, ricordando che il teatro senza pubblico non può esistere.

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