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I 260 anni del Bicerin: la storia del locale più “in rosa” di Torino

TORINO. Il Caffè Al Bicerin, lo storico locale torinese amato da Cavour e descritto da Umberto Eco nel romanzo Il Cimitero di Praga, sta per festeggiare i 260 anni di attività. La storica bevanda torinese è nata in questo caffè che ne porta il nome e ne conserva gelosamente la ricetta originale, tramandata di generazione in generazione in grande riservatezza.

Al Bicerin è stato punto di riferimento di grandi personalità: da Cavour a Pellico, da Puccini a Nietzsche, dalla Osiris a Calvino, della regina Maria Josè e di Umberto II. Ed è stato set cinematografico per produzioni nazionali e internazionali. Da sempre in mani femminili, è gestito dalla famiglia di Maritè Costa che, in più di 30 anni di gestione, si impegnò perché il suo valore venisse riconosciuto a livello nazionale e internazionale. Numerosi i riconoscimenti come il “Diploma d’onore dei caffè storici Europei” del 2004 e il premio del Gambero Rosso che, nella prima edizione della Guida ai Bar, nominò il locale come Miglior bar d’Italia del 2000.

La storia inizia nell’ottobre 1763, quando l’acquacedratario Giuseppe Dentis apre la sua piccola bottega nell’edificio di fronte all’ingresso del Santuario della Consolata. Il locale all’epoca era arredato semplicemente, con tavole e panche di legno. Nel 1856, su progetto dell’architetto Carlo Promis, viene edificato l’attuale palazzo e in questa sede il caffè assume l’elegante forma che oggi possiamo apprezzare: le pareti vengono abbellite con boiseries di legno decorate da specchi e lampade e fanno la loro comparsa i caratteristici tavolini tondi di marmo bianco, il bancone di legno e marmo e le scaffalature per i vasi dei confetti. Alla fine dell’Ottocento viene posta esternamente la devanture in ferro, con le vetrinette ai lati, le colonnine e i capitelli in ghisa. In questo ambiente viene svolta l’attività di confetteria e di caffè-cioccolateria.

L’invenzione del bicerin è stata, senza alcun dubbio, la base del successo del locale e, più che invenzione, fu evoluzione della settecentesca bavareisa, una bevanda allora di gran moda che veniva servita in grossi bicchieri e che era fatta di caffè, cioccolato, latte e sciroppo. Il rituale del bicerin prevedeva all’inizio che i tre ingredienti fossero serviti separatamente, ma già nell’Ottocento vengono riuniti in un unico bicchiere e declinati in tre varianti: pur e fiur (simile all’odierno cappuccino), pur e barba (caffè e cioccolato), ‘n poc ‘d tut (ovvero “un po’ di tutto”), con tutti e tre gli ingredienti. Quest’ultima formula fu quella di maggiore successo e finì per prevalere sulle altre, arrivando integra ed originale ai nostri giorni e prendendo il nome dai piccoli bicchieri senza manico in cui veniva servita (bicerin, appunto). La bevanda si diffuse anche negli altri locali della città, diventandone addirittura uno dei simboli di Torino.

Il Risorgimento e l’Unità d’Italia passano da questo locale con la presenza di Camillo Benso di Cavour. Si dice che il conte, liberale, laico e anticlericale, anziché accompagnare la famiglia reale al santuario della Consolata, ne attendesse l’uscita comodamente seduto al tavolino sotto l’orologio, controllando da dietro le tendine l’ingresso dell’edicio sacro.

Un tempo, i caffè erano esclusivo dominio maschile: gli uomini ci si ritrovavano per bere, fumare e parlare. Le donne “rispettabili” non potevano frequentare luoghi così poco adatti a loro. Anche in questo il Bicerin si dimostrò ben presto un locale unico: era stato aperto da un uomo, ma la gestione presto passò in mano a delle signore. La particolare posizione di fronte al Santuario della Consolata lo faceva meta preferita da un pubblico femminile che in tale ambiente si sentiva protetto e a suo agio, le specialità servite erano tipiche di una cioccolateria-confetteria e come alcolici venivano serviti solo vermuth, rosolio e ratafià. Per molti anni è stato uno dei pochi luoghi dove le donne potevano mostrarsi sole in pubblico; qui inzuppavano nel bicerin i biscottini al burro, per rompere il digiuno dopo le funzioni nel santuario di fronte. Il fatto che fosse un locale a conduzione femminile lo rendeva consono per essere frequentato dalle dame. Questa caratteristica diede al locale un’impronta di garbo e delicatezza che ancora oggi si è mantenuta e che si desidera preservare. Dal 1910 al 1975 il locale è stato gestito dalla signora Ida Cavalli, con l’aiuto della sorella e della figlia Olga, nelle cui mani passò quando la madre si ritirò. Le signore Cavalli sono state molto amate e conosciute da tutta la città: più padrone di casa che ostesse, amorevolmente accudivano tutti gli intellettuali squattrinati che Al Bicerin cercavano riparo dai rigori del freddo.

Nel 1983 Maritè Costa (in foto) ha raccolto l’eredità delle signore Cavalli, portando il locale al livello di notorietà internazionali a cui  è oggi conosciuto. Il suo è stato uno straordinario lavoro di vera archeologia del cioccolato e dei dolci torinesi: la sua ricerca e studio delle ricette originali, dei materiali di qualità e un vero ed autentico amore per la cioccolata e la pasticceria tradizionale piemontese, hanno fatto sì che questo piccolo caffè venisse conosciuto ed amato nel mondo intero.  All’attenzione e alla grande cura per la qualità e alla tradizione del cibo, Maritè ha affiancato la passione per la conservazione dell’ambiente storico, vera icona della città, avviando un’importante opera di restauro delle strutture e degli arredi originali. Mancata nel 2015, la gestione prosegue, orgogliosamente nel solco della tradizione, sempre con la nostra famiglia e con la collaborazione delle signore che da anni lavorano al caffè.

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