Al Torino si tolse le soddisfazioni più grosse arrivando dopo aver guidato il Mantova anche in panchina (Serie B 1969-1971). Suo il merito di aver lanciato Pulici, per esempio. Suo il merito per averlo fatto tornare in vetta alla Serie A ventidue anni dopo la tragedia di Superga. Ma sopra ogni cosa resiste quel colbacco indossato un po’ per sfida e un po’ per necessità: «Me lo aveva regalato un tifoso del Mantova – ricordava da buon sardo trapiantato a Mantova – che li importava dalla Lapponia: ai primi freddi lo misi anche a Torino e fu il finimondo».
Sotto la Mole è stato nella storia granata uno degli allenatori più amati. Veniva apprezzato più per come si poneva, per quei momenti nei quali “mi si chiudeva la vena e sragionavo”. Proprio come accadde contro la Juventus, quando Causio, che giocava sull’ala vicina alle panchine, andò a sbeffeggiarlo dopo il gol di Cuccureddu e Giagnoni, allora sulla panchina del Torino, gli mollò un destro sullo zigomo. Venne espulso, una volta uscito dal campo però venne portato in trionfo dalla tifoseria granata. Era il 9 dicembre 1973, il Toro perse 1-0 e il suo allenatore non fu mai amato così tanto.
Giagnoni, era nato a Olbia il 23 marzo del 1933 ma viveva a Mantova dall’età di 25 anni. Oltre che sulla panchina del Torino, sedette anche su quelle di Mantova, Milan, Bologna, Roma e Cagliari.
Il poeta torinese Sergio Donna ha dedicato a Giagnoni una poesia.
L’allenatore col colbacco
(In morte di Gustavo Giagnoni)
In testa il folto colbacco
con l’andatura infingarda
e quel suo fare bislacco
con la cadenza ch’è sarda.
Una sciarpona granata
arrotolata sul collo,
la curva surriscaldata,
stipati lì a francobollo,
nei primi Anni Settanta.
Pulici già scalpitava:
artiglieria da novanta,
d’un Toro che respirava
aria di freschi scudetti.
Fremeva la Maratona,
a quegli avversi verdetti
d’arbitri ligi a Mammona,
e a quel suo fare bislacco,
da allenatore da Toro:
in testa sempre un colbacco,
e in bocca mezza Marlboro.
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