“A volte poeta”: l’ultima intrigante silloge di Alessandro Bertolino

Si può essere poeti a intermittenza? Certamente no, perché chi ha la fortuna di avere un cuor di poeta sa bene che in quel cuore la poesia palpita e bussa ad ogni istante.

Certo, talvolta il poeta, per una particolare predisposizione d’animo, sente battere di più il proprio cuore; per contro ‒ assorto negli impegni di lavoro o distratto da altri pensieri contingenti ‒ il poeta pare che in certi momenti presti meno ascolto a quel battito. E forse è questo il senso che Alessandro Bertolino, poeta vero, poeta a tutto tondo e a tempo pieno, ha voluto dare al titolo della sua ultima raccolta poetica.

O forse è solo per modestia, perché è anche vero che il poeta autentico non ammette mai di esserlo, per umiltà d’animo, o forse semplicemente perché pensa che i poeti degni di questo nome siano soltanto quelli “grandi”, entrati a pieno titolo nella pagine della Storia della Letteratura.

La silloge di Bertolino, freschissima di stampa e pubblicata da Carta e Penna Editore, Torino (184 pagine, 15 €), si presenta con una veste graziosa e intrigante. Nella cover, disegnata da Antonio Lapone, è facile riconoscere l’Autore, intento nella lettura, o forse raccolto nel cogliere l’ispirazione della Musa, dimentico delle ore che scorrono. Con lui, l’inseparabile gatta, mentre al di là della finestra, la sera cede il passo alla notte, che con le sue tenebre pian piano avvolge la città.

La natura poetica di Bertolino traspare, del resto, persino nella ricerca ad effetto dei titoli dei dieci gruppi di liriche che l’Autore ha voluto riunire per temi omogenei. I tratti inconfondibili della sua poetica emergono fin dalle prime liriche, ne “Il quieto vivere”. In effetti, che c’è di più lirico del quieto vivere? Alessandro Bertolino ci riporta negli anni della sua infanzia, della sua adolescenza e della sua gioventù. Invero, questi non sono sempre stati degli anni “quieti”. Anzi: forse è proprio questo che Bertolino intende esprimere, e lo fa con arte e efficacia. È proprio dalle difficoltà e dai turbamenti, dalle inevitabili sconfitte che scuotono inesorabilmente tutti i ragazzi, che si possono trovare gli spunti per forgiare un carattere, scoprire l’essenza dei valori autentici, per crescere dentro e fuori, e diventare uomini. Bertolino lo fa sempre con un velo di pudore e di misura: e ciò intriga il lettore, rendendolo ancor più partecipe di quelle sue emozioni, quelle sue pulsioni, che lui ci svela, ma anche della gioia di certe scoperte, del gusto di certe letture, di certi viaggi, o del valore catartico e formativo di certi “incontri”, personali o musicali, che gli hanno lasciato un segno indelebile nell’anima. Perché è nella “camera dei giorni lieti, utero arredato”, che il Poeta coglie “la risposta portata dal vento”, per restare “per sempre uguali, liberi” (La stanza, Il quieto vivere).

Bertolino canta l’amore ad ogni età: amore circolare, onnicomprensivo, che come un cerchio racchiude quello per le donne, per la musica (Elvis e il jazz: che passione!), per i gatti e gli animali, per la poesia, per gli amici, per Torino, per la lingua piemontese, per le sue radici, per chi la pensa come lui, ma anche per chi la pensa in modo diverso. Lo scopriamo nel leggere le liriche contenute in “Ritratti urbani”: passeggiate “senza meta per strade di periferia”, incontri casuali, il canto di un merlo… Tutto può essere ispirazione, suggestione:  basta cogliere il momento giusto: e Bertolino lo sa fare con la naturale leggerezza del Poeta.

In Lingua madre, la lingua degli antenati, l’Autore dà saggio di dimestichezza col verso anche con il piemontese: suggestive, ironiche, rievocative le poesie La materassera e Ël barbé busiard, che ci riportano con realismo, e con un velo di pacata malinconia misto a distaccata ironia, alla vivacità dei cortili delle case di ringhiera e alle antiche barberie degli Anni Sessanta, dove i ragazzi, sfogliando calendarietti di donnine discinte, portavano in ebollizione i loro indisciplinati ormoni che stuzzicavano sogni proibiti.

Un poeta non si racconta: un poeta si legge. Ed è per questo che non mi addentro ulteriormente a commentare le perle contenute nella sezione poetica “Dedicato”, ne “Il seme di Caino”, in “Pensieri e sogni sparsi”, in “Assenze” e in “Fuochi fatui”, lasciando al lettore la magia delle sorprendenti emozioni che scaturiscono dalla lettura delle liriche di Alessandro Bertolino.

Per concludere, mi limito a riportare alcuni versi tratti dal sonetto “E se il pensiero corre a quelle sere”, (Assenze), che per l’intensità, la grazia e la struggente delicatezza, sembrano tratti pari pari dal Canzoniere di Petrarca:

“… E se il pensiero / corre a quelle sere, per un istante / (eterno, quasi), mi domando quanti /  per numero di giorni, mesi ed anni, /  abbian di te sognato tanto … // E di rugiada m’accarezza il pianto”.

Sergio Donna

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