ENOGASTRONOMIA

Il vermouth, aperitivo torinese per eccellenza detto anche “bibi”

Nella tradizione torinese l’aperitivo per eccellenza è il vermouth, detto anche il “bibi”. Il suo antico antenato è il vino aromatizzato, che ha origini antichissime: le prime testimonianze della sua esistenza risalgono al 400 a.C. Nell’antica Grecia la bevanda era molto diffusa e la tradizione attribuisce a Ippocrate di Cos l’invenzione del vinum absinthiatum, ottenuto facendo macerare nel vino dolce i fiori del dittamo aromatico di Creta e dell’artemisia absinthium. L’assenzio era molto conosciuto da erboristi e medici per le sue proprietà digestive, antianemiche, antidepressive e purganti, per gli effetti stimolanti sul sistema nervoso e sulla circolazione sanguigna.

Dato che veniva prodotto e consumato come vino medicato e non come liquore tout court, era abbastanza diffuso tra la popolazione. Per mitigare il gusto eccessivamente amaro si pensò di miscelarlo con miele e spezie e di diluirlo con vino dolce. Ancora nel XIX secolo era abbastanza diffuso un liquore a base di assenzio fatto macerare nella grappa, che in seguito fu proibito perché causò diversi casi di delirium tremens. Nel Medio Evo la ricetta del vino aromatizzato si arricchì con le spezie che arrivavano dall’Estremo Oriente e, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, dal Sud America: cannella, cardamomo, zenzero, legno di sandalo.

Tale bevanda che rappresentava l’antenato del vermouth, e subì diverse e successive rielaborazioni a seguito dell’importazione da parte dei mercanti veneti di spezie e droghe dall’Africa, dall’India, dall’Indonesia e dalle Americhe, dalle quali giungevano la corteccia di china e la vaniglia. Il titolo di prima capitale italiana della produzione del vino aromatizzato pare tocchi a Venezia, ma fu il Piemonte, e in particolare Torino, a diventare il punto di riferimento internazionale per il vermouth.

Le erbe e gli aromi delle Alpi e la produzione dei vini secchi davano infatti alla regione un notevole vantaggio nella produzione della bevanda. Nel 1555 il libro De’ secreti forniva la ricetta del vino di Ippocrate aromatizzato con erbe alpine; tradotto in francese il libro portò la ricetta del vino in Francia e in Germania, dove fu coniato il termine Wermut, che passò al francese come vermouth e tornò in Italia con la doppia forma vermouth e vermut.

La lapide che celebra a Torino Benedetto Carpano

La prima testimonianza scritta che riguarda il vermouth a Torino risale al 1763: nella Pharmacopea Taurinensis si parla del vinum absinthites. La tradizione vuole che a Torino il vermouth sia stato inventato in una piccola bottega sotto i portici dell’odierna piazza Castello, di proprietà del signor Marendazzo, il cui aiutante era Antonio Benedetto Carpano. Questi era arrivato nella capitale dei Savoia dal Biellese e, apprezzato il vino moscato, decise di ricavarne un vino aromatizzato, aggiungendogli erbe e spezie delle sue valli, secondo antiche ricette, pare imparate da alcuni frati. Il vermouth torinese nacque così. La piccola bottega divenne ben presto ritrovo dei torinesi, che apprezzavano molto il nuovo vino aromatizzato. Persino il duca Vittorio Amedeo III era un estimatore del vermouth, tanto da proclamarlo aperitivo di corte.

La ricetta di Carpano non era che una variante a quelle, già note da tempo, di altri produttori torinesi, ma fu la prima che diede l’impulso alla grande produzione del vermouth italiano, che ebbe da allora in Torino la propria capitale. A Carpano si aggiunsero infatti col tempo Martini e Cinzano, Cora e Gancia. Nel 1870 nacque il Punt e Mes, ovvero la versione amara del Vermouth; la leggenda narra che un giorno, nella bottega di Carpano, un agente di borsa, preso da una discussione con alcuni colleghi, quando ordinò il suo aperitivo, usò l’espressione gergale “punt e mes” per avere un vermouth corretto da una mezza dose di china. Da quel momento il Punt e mes fece la fortuna del suo produttore e rese Carpano famoso in tutto il mondo.

Sempre nell’Ottocento, mentre l’epopea risorgimentale coinvolgeva anche Torino partendo dai suoi caffè, i grandi produttori del vermouth, da Cinzano a Gancia, da Martini a Riccadonna, seppero superare i confini nazionali per raggiungere, con i loro prodotti, l’Europa e l’America. Il vermouth divenne quindi una voce importante nell’economia piemontese. E ancora oggi, anche se le grandi case storiche sono diventate ormai multinazionali di proprietà straniere, il vermouth costituisce il 25% delle esportazioni italiane di vino nel mondo.

Massimo Centini

Classe 1955, laureato in Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Ha lavorato a contratto con Università e Musei italiani e stranieri. Tra le attività più recenti: al Museo di Scienze Naturali di Bergamo; ha insegnato Antropologia Culturale all’Istituto di design di Bolzano. Docente di Antropologia culturale presso la Fondazione Università Popolare di Torino e al MUA (Movimento Universitario Altoatesino) di Bolzano. Numerosi i suoi libri pubblicati in italiano e in varie lingue.

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