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Trio Lescano, le olandesine di Torino regine dello swing in radio negli Anni Trenta

Spopolavano alla radio alla fine degli Anni Trenta. Al civico 26 di via degli Artisti, dove risiedevano quando erano all’acme del loro successo, è stata posta una lapide a ricordo del loro talento

TORINO. Abitarono per molti anni nel quartiere Vanchiglia, al civico 26 di Via degli Artisti. Una via dal nome più appropriato, per loro, non ci sarebbe stata, perché le sorelle Alexandrina, Judick e Catherine Leschan, nate in Olanda, ma di padre ungherese, più note in Italia con i nomi di Alessandra, Giuditta e Caterinetta Lescano, erano artiste vere. Ragazze cresciute nell’ambiente circense, abituate fin da bambine ad esibirsi in pubblico, a mietere applausi, a sorridere alla gente: ballerine acrobatiche, avvezze ai palcoscenici internazionali. Il loro padre, Alexander Leschan, del resto era un noto acrobata ungherese, e fu proprio lui ad indirizzarle all’arte del circo.

Dopo la morte del padre, arrivarono a Torino nel 1935, tappa di un tour. E a Torino si fermarono, insieme alla madre Eva De Leeuwe, ebrea, cantante d’operetta. Iniziarono ad esibirsi nei café chantants della città come ballerine (Alexandra e Giuditta avevano studiato danza classica a Parigi). Furono subito notate da Carlo Prato, direttore artistico della sede torinese dell’Eiar (l’antesignana della Rai) e scopritore di talenti: ne intuì le capacità di donne di spettacolo a tutto tondo, e in particolare ne apprezzò le capacità canore.

La targa in via degli Artisti che ricorda il Trio Lescano

Prato, dunque, credette in loro: le sottopose a intense lezioni di perfezionamento e di armonizzazione della voce, e creò quello che sarebbe diventato il gruppo corale più famoso degli ultimi anni Anni Trenta ed i primi Anni Quaranta del Novecento: il Trio Lescano. Il fiuto di Carlo Alberto Prato si era rivelato giusto. La carriera del Trio fu fulminante: era una novità assoluta, almeno in Italia, sentir cantare insieme tre ragazze, carine, moderne, e dalla voce modulata, con una punta di accento straniero, che piaceva moltissimo. Il loro stile ricordava quello del Trio americano delle Boswell Sisters, ma quelle non si potevano ascoltare per la censura del regime.

Ma soprattutto, il Trio Lescano vendeva migliaia e migliaia di dischi. La gente impazziva per brani come Non dimenticar le mie parole, Maramao, Ma le gambe, Il piccolo naviglio, Pippo non lo sa, Il pinguino innamorato. La radio le trasmetteva sovente, ma non bastava. Il pubblico, che le adorava, voleva ascoltarle ancora più spesso, e così acquistava i dischi per sentirseli a ripetizione sul grammofono di casa, sulla musica brillante delle Orchestre di Cìnico Angelini o di Pippo Barzizza.

Le tre sorelle non si montarono mai la testa, ma neppure si nascondevano ai loro fans: anzi. Erano stipendiate dall’Eiar, che corrispondeva loro un assegno mensile di un migliaio di lire. Una bella cifra: per i più, un sogno. Quel tanto che bastava per girare per Torino con una fiammante Balilla, guidata da uno chauffeur, e indossare eleganti abiti alla moda, giocando a interpretare il ruolo delle “signorine Grandi Firme” e a far il verso, loro così magre e smunte, alle ben più formose pin-up americane. Non rifiutavano mai un invito ad un rinfresco à la page. Si racconta che perfino il principe Umberto le aveva invitate al suo tavolo durante una serata di gala. Erano arrivate a vendere trecentocinquantamila copie di un disco, quantità davvero eccezionali per un’industria discografica ancora agli esordi.

Le sorelle Leschan, avevano ottenuto la cittadinanza italiana: il loro cognome era stato italianizzato, ma la madre restava un’ebrea. La notizia non si poteva tenere nascosta: quella era una macchia che pesava come un macigno sulla carriera del Trio. E inesorabilmente, le leggi razziali finirono per condizionarne il successo.  È vero che essendo figlie di madre ebrea, ma di padre ariano, le tre cantanti riuscirono ad evitare la deportazione, ma cionondimeno restarono continuamente sotto l’attento e insistente controllo della polizia fascista, che intravedeva nei testi delle loro canzoni, messaggi in codice contrari al regime, e sottili satire al potere.

Nel 1940, ad esempio, la censura ritenne che nel brano Pippo non lo sa – (con parole di Panzeri, Rastelli, e musica di Kramer), uno dei successi più famosi del Trio Lescano – il Pippo della canzone, “che quando passa, ride tutta la città”, ricordava troppo da vicino Achille Starace, Capo di Stato Maggiore della Milizia, per cui la diffusione della canzone via radio dovette essere immediatamente vietata.

Le sorelle Lescano, dal canto loro, furono addirittura tacciate di spionaggio, boicottate, e sia pur per un breve periodo, incarcerate. Per loro, la stagione della gloria stava precipitevolissimamente terminando, con la stessa rapidità con cui la loro celebrità era stata costruita solo qualche anno prima.

Con il precipitare delle vicende belliche, le sorelle Lescano fanno perdere le tracce di sé, nascondendosi da qualche parte insieme alla loro madre, per difenderla dalla deportazione.

A guerra finita, il Trio provò a rilanciarsi. Caterinetta uscì dal gruppo, e fu vanamente sostituita da una new entry. Furono organizzate delle tournée in Sud America. Due delle tre sorelle scelsero addirittura di rimanere, almeno per qualche anno, in Argentina. Del resto, il clima e i gusti del pubblico erano cambiati. Il Trio Lescano, in netto declino, finì per perdersi nelle nebbie dell’oblio.

Ma il tempo è galantuomo, e prima o poi sa rifondere i riconoscimenti a chi veramente li merita. E infatti, gli antichi successi del Trio Lescano, ripresi dal passato, oggi sono di nuovo spesso proposti nelle sale da ballo, e ancora ci stupiscono per il loro brio, la loro orecchiabilità, e per i loro testi, che dietro un’apparente leggerezza, nascondono piuttosto una sottile ironia, ed una prorompente gioia di vivere: un viatico musicale negli anni più bui della storia del nostro Paese, un sollievo, sia pur effimero, per gli Italiani, un contributo canoro ad estraniarsi, almeno per un attimo, dalle tragedie della guerra.

Al civico 26 di Via Artisti, nel quartiere torinese di Vanchiglia in cui abitò il Trio Lescano, una targa ricorda il loro talento e i loro successi. La lapide, posata nel 2016, ricorda anche il loro impresario torinese, che le scoprì in un café chantant, compositore di canzoni di successo come Sposi e Ciàu Turin.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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