EconomiaΩ Primo Piano

Alla riscoperta delle antiche botteghe: Peyrano, cioccolato da re

TORINO. Ricordo ancora il sapore avvolgente del mio ultimo Alpino Peyrano: un delizioso cioccolatino (inventato ottantacinque anni fa proprio da Antonio Peyrano, fondatore della storica omonima ditta), la cui miscela di aromi di cioccolato e liquore mi si fondeva lentamente nel palato, riscaldando e accarezzando squisitamente le mie papille gustative. Era il giorno di Natale del 2018.

Qualche mese dopo, era il febbraio del 2019, leggevo sui giornali che lo storico punto vendita Peyrano, con annesso laboratorio di corso Moncalieri, dopo il deposito dei libri contabili aziendali in Tribunale, veniva chiuso a tempo indeterminato per una procedura fallimentare.

Bruna e Giorgio Peyrano

Non è compito di chi scrive indagare sulle cause della chiusura di una storica attività artigianale, una delle tante che da alcuni anni costellano le pagine della cronaca cittadina, ed ennesima prova di una crisi strutturale e profonda vissuta da tanti negozi di vicinato e da molte botteghe artigiane torinesi dalla storia illustre. In generale, è pur vero però, in particolar modo per le medie e piccole imprese, che oggi è diventato molto difficile competere in un mercato sempre più agguerrito e globalizzato, dove i costi di gestione crescono continuamente, e dove non basta più – evidentemente – distinguersi con dei prodotti di indiscussa qualità, ma occorre soprattutto stare al passo col cambiamento dei gusti dei consumatori, e saper adottare (con il giusto mix di fortuna e intuizione) nuove e vincenti strategie di marketing, più adeguate alle mutate ed evolute realtà di mercato.

Tornando alla Peyrano, la sua storia quasi centenaria è invero costellata – come del resto quella di tante altre aziende – di prolungate fasi di effervescente espansione, alternate ad altre di difficoltà e crisi, peraltro tutte sempre superate. E quindi vogliamo sperare che, ancora una volta, questo marchio prestigioso possa al più presto essere salvato ed acquistato da qualche lungimirante imprenditore e tornare a brillare d’uno splendore degno del suo illustre passato.

E allora, con la fiducia che ciò possa essere di buon auspicio, vediamo di ripercorrere il glorioso trascorso dell’antica ditta Peyrano, una storica bottega con annesso laboratorio artigiano, emblema dell’arte cioccolatiera subalpina. Lo faremo per tappe successive, per scoprire la storia di questo nobile marchio, uno tra i più celebri tra quelli dei maîtres chocolatiers torinesi.

Le origini e il primo dopoguerra

La bottega venne fondata oltre cento anni fa, e precisamente nel 1915, in corso Moncalieri, a due passi dalla Gran Madre: a quei tempi non era che un piccolo laboratorio, ma fin da subito, il marchio Peyrano s’impose sulla piazza, diventando presto sinonimo di cioccolato di fine qualità, per poi conquistarsi – un po’ alla volta – la fama di un must dell’arte cioccolatiera subalpina.  Si trattava, come del resto è stato fino a ieri, di un’azienda a conduzione familiare, dedicata alla produzione di caramelle, gelatine di frutta, pasticceria secca, e di cioccolato. La sede del laboratorio non è mai cambiata (è da sempre in corso Moncalieri, al civico 47), anche se l’atelier si è via via dotato di attrezzature più moderne, ma che profumano d’antico, perché le originali segrete ricette e i sistemi di lavorazione sono rimasti quelli di allora.  

Il fondatore, Antonio Peyrano, aiutato dalle sorelle Lucia e Giovanna, utilizzando fave di cacao selezionatissime, tostate utilizzando legno di ulivo ligure, cominciò a specializzarsi nella produzione di un cioccolato finissimo, e in breve tempo finì per conquistare tutti i più sofisticati palati della Torino bene dell’epoca. Poi entrarono in azienda anche la nuora Angela e il nipote Giacomo. A partire dal 1920, cominciarono le prime forniture regolari alla famiglia reale italiana.

La creatività dei Peyrano è sorprendente e senza tregua: è di quegli anni, ad esempio, l’invenzione dell’Alpino (il primo cioccolatino al liquore, di cui ho fatto cenno all’inizio dell’articolo) e di altri nuovi tipi di cioccolatini: “noci”, “nocciole”, “mandorle”, “conchiglie”, “cuori”, “giandujotti”, “cremini” e molti altri ancora. L’Alpino, in particolare (una delle più ghiotte specialità di casa Peyrano), ebbe un successo sensazionale, e nel 1935 venne protetto da un “brevetto per marchio d’impresa”. Nel 1938, la fabbrica di cioccolato ottenne, da Vittorio Emanuele III, l’ambìto riconoscimento di “Fornitore della Real Casa di Savoia”: fu così che il cioccolato Peyrano venne chiamato il “cioccolato del re”.

Il lavoro intanto continuava a crescere e così vennero chiamati in azienda anche i due figli di Giacomo, Giuseppe (1933) e Giorgio (1938).

Il secondo dopoguerra e i legami con l’alta moda

Dopo le difficoltà e le devastazioni della guerra, ritrovata finalmente la pace, negli anni del boom economico i prodotti Peyrano tornano a primeggiare nei gusti dei torinesi. Nel 1963 i fratelli Peyrano rilevano la Pasticceria Pfatisch di corso Vittorio Emanuele II, a Torino, che assumerà così l’insegna “Peyrano Pfatisch”.  Continua intanto in corso Moncalieri l’attività di produzione di pasticceria e confetteria, unitamente a quella di vendita e di produzione di cioccolato e cioccolatini. Giuseppe Peyrano si occupa prevalentemente della gestione della pasticceria di corso Vittorio,  mentre Giorgio si occupa del laboratorio.

Gli anni ’70 vedono un ulteriore ammodernamento degli impianti ed una spiccata crescita della produzione, che è anche frutto di originali e innovative operazioni di marketing. È la signora Bruna Peyrano, moglie di Giorgio, ad intuire che il fascino del marchio Peyrano può conquistare un pubblico elitario e sofisticato, ed inizia a pubblicizzare i prodotti su Vogue Italia. Si crea così un feeling sinergico fra l’alta moda ed il cioccolato Peyrano: negli atéliers dei grandi sarti italiani non mancano mai le sue praline, offerte alle clienti mentre assistono alle sfilate per scegliere i modelli dei loro abiti. Il marchio diventa così sinonimo di classe e raffinatezza, e sono molti i lussuosi alberghi che non fanno mai mancare qualche cioccolatino sul tavolo della reception o sui tavolini delle suites dei loro clienti.

Leggiamo sul sito ufficiale: “Negli anni ’80, Peyrano è ormai sinonimo di cioccolato di lusso e la sua immagine viene sempre più sovente accostata a prodotti di alta classe, come champagne e automobili di grossa cilindrata. Il connubio fra cioccolato e design si consolida negli anni ’90 con le confezioni affidate alla matita creativa di importanti designer”.

Le alterne vicende societarie del terzo Millennio

Una crescita costante, dunque, tra successi e affermazioni commerciali per tutto il Novecento. Poi, d’improvviso, il destino sembra voler sorridere meno benevolmente ai Peyrano. Nel 2002 Giorgio e sua moglie Bruna escono dall’azienda, cedendo la quota di partecipazione al fratello Giuseppe. Nella Peyrano entra la famiglia Maione di Napoli, titolare di un’industria alimentare, con un’attività molto diversificata, che spazia dalla pasta alla biotecnologia, dal software alla chimica. Nel 2006 il controllo dell’azienda passa di fatto ai Maione (a Mario Maione e a sua figlia Mariella) in seguito ad un aumento di capitale che Giuseppe Peyrano decide di non sottoscrivere.

Nel dicembre 2010, a causa di difficoltà economiche del gruppo napoletano, il tribunale fallimentare di Torino decreta il fallimento dell’azienda Peyrano. Sembra che il nobile marchio, sinonimo  di cioccolato d’Autore d’eccellenza, possa cadere nell’oblio. Ma qualche mese dopo, nel marzo 2011, i coniugi Giorgio e Bruna Peyrano, che erano usciti dall’azienda nove anni prima, tornano alla ribalta, riacquistando l’azienda nel corso di un’asta fallimentare, salvando così lo storico marchio con un esborso di oltre due milioni di euro.

Il destino sembra sorridere di nuovo ai Peyrano: l’attività di uno dei più prestigiosi atelier torinesi della lavorazione artigianale del cioccolato riparte infatti subito con successo. Chiusa definitivamente la Pasticceria Peyrano, tutte le fasi della lavorazione del cioccolato vengono concentrate nello storico Laboratorio Peyrano di corso Moncalieri 47, con annessa bottega. Tutto viene prodotto così come era stato insegnato oltre cento anni fa da Antonio, Lucia e Giovanna Peyrano ai loro eredi e successori, con la tradizionale tostatura delle fave di cacao con legno d’ulivo, con le stesse tecniche di macinatura e di depurazione, miscelando le diverse qualità del cacao con dosi precise di zucchero, secondo le antiche segrete ricette di famiglia, e praticando il concaggio del cioccolato per 72 ore consecutive.

Fino al mese di febbraio 2018, l’azienda continua ad essere gestita dai coniugi Bruna e Giorgio Peyrano, coadiuvati dai nipoti Anna e Giovanni, depositari della squisita arte del cioccolato, vanto e simbolo della città di Torino. La capacità produttiva totale, intanto, ha raggiunto le 100 tonnellate di cioccolato all’anno, suddivisa in 60 tipi di cioccolatini, oltre agli “Alpini”, agli storici e deliziosi gianduiotti Peyrano, alle tavolette a diversa percentuale di cacao, alle gelatine di frutta ed alla tradizionale pasticceria secca.

Giorgio Peyrano

Sembra proprio che la storia di Peyrano possa di nuovo continuare lungamente sul sentiero della crescita e del successo, per la gioia dei palati più fini e per l’orgoglio di Torino. Ma giunge inaspettato un fatale colpo di scena: una nuova crisi fallimentare incombe sull’azienda. Il destino sembra accanirsi di nuovo in modo malevolo.

Ma sappiamo che Peyrano è come una fenice. E noi ci auguriamo che il destino, fattosi di nuovo compiacente, voglia presto aprire un nuovo luminoso capitolo del libro della sua storia, colmo di successi per il suo cioccolato eccezionale e per i suoi incomparabili e rimpianti “Alpini”.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio