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Modi di dire piemontesi: “passé ‘l bujì” a qualcuno

Sovrano assoluto della cucina e della tavola piemontese, il re “bollito”,  contornato da una corte di “bagnetti” rossi e verdi, senapi e intingoli, ha sicuramente influenzato anche la parlata popolare. Una diffusa espressione idiomatica, è sicuramente “essere bollito”, con cui non si descrive certo una situazione personale edificante: anzi, la si usa proprio quando si è “a terra”, sia nel fisico che nello spirito.

Ma ce n’è un’altra, tipicamente piemontese, e un tempo molto usata in ambito familiare, con molte sfumature e varianti, alcune delle quali sono state accolte anche nell’ambito gergale: “passé ‘l buj’ a quaidun”, letteralmente: “passare il bollito a qualcuno”.

Il significato di questa coloratissima e metaforica locuzione verbale esula dal suo senso letterale, anche se – come vedremo – c’è chi sostiene che, almeno in origine, un senso letterale ce l’avesse. “Passare il bollito” a qualcuno, significa picchiarlo, o anche bastonarlo.

Il tipico bollito alla piemontese

Parlavamo di varianti. Eccone alcune: “passé ‘l lard” (passare il lardo), “passé le paste” (cioè passare le paste, le bignòle), ed altre ancora (che vedremo più avanti), tutte con lo stesso significato metaforico, anzi…, pardon, nella fattispecie, con un significato assolutamente fisico.  C’è un’antica e divertentissima canzone piemontese nel criptico linguaggio della “mala” (ël gergon ëd Pòrta Palass) che ci aiuta a far luce sull’uso, e quindi sul significato, di queste espressioni:

Mè bidon am dis soa giòja,
chila am tapa, chila am tapa, am mòla ’l prèt,
mi l’angrasso, mi l’angrasso a lard ’d Savòja 
e l’ambonisso, l’ambonisso co’ij torcèt.

Che sta per: la mia donna mi dice gioia, mi veste, mi molla la grana (prèt), io la picchio (l’ingrasso con il lardo di Savoja) e la rabbonisco con i “torcetti” (che qui non sono i dolci tipici  del Canavesano e delle Valli di Lanzo, ma piuttosto dei sonori ceffoni). Dunque, “passare il bollito a qualcuno” è una maniera di dire, una frase idiomatica piemontese, che ha però un ampio raggio di sfumature e registri, per indicare minacce di castighi, rappresaglie, vendette e punizioni fisiche o morali. Nell’ampia gamma di significati,  l’espressione può talora avvicinarsi al senso di altre locuzioni verbali, come “rangé për le feste”, “rende pan per fogassa”, o al materialissimo verbo “patlé” (cioè “molé ‘d patele”, picchiare).

“Passé ‘l bujì a quaidun” può avere anche un altro significato, più raro, cioè quello di riconoscere un giusto compenso, una paga materiale (o anche simbolica), oppure la giusta ricompensa a qualcuno per un buon servizio ricevuto (cosa c’è di più ghiotto e saporito di un buon piatto di bollito?); ma la locuzione è assai più usata quando si voglia  assegnare o minacciare l’inevitabile castigo (fisico o morale) a chi non abbia svolto il suo compito con il necessario impegno o, peggio ancora, ci abbia recato danno e disonore.

Avevamo prima fatto cenno ad un’interpretazione più “letterale” della locuzione verbale “passare il bollito”: è quella ricordata da Franco Burdisso, un appassionato di “piemontesità”, che ci riporta indietro nella storia, in epoca medievale e rinascimentale. Il modo di dire sarebbe nato in seguito agli atti di carità di certi signorotti locali, che al termine di banchetti e convivi, solevano distribuire gli avanzi delle libagioni ai poveri del villaggio. Certo non erano i bocconi più prelibati del banchetto: erano più spesso quelli meno appetitosi e tralasciati dai conviviali, oppure si trattava di frattaglie e delle parti meno nobili di montoni, pollame e selvaggina, che – prima della distribuzione al popolo – venivano bolliti in grossi calderoni di rame.

Altre espressioni similari a “passé ‘l bujì” sono: “dé ij sòld ëd la sghijaròla” (dare i soldi per lo scivolo),“dla glassa” (per la glassa, che riveste alcuni dolciumi), o “dël toron del mòro” (per comprare un’antica marca di torrone che nella confezione riportava l’immagina di una testa di moro), tutte con un marcato retrogusto di ironia, se non (a seconda della gravità del caso) di più o meno malcelata minaccia. In italiano, si direbbe: “Te la do io l’America!”.

Ma quanto più ricco ed espressivo è il piemontese!

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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