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Sua maestà “l’articiòch astesan”, un’eccellenza di Mombercelli

ASTI. Mombercelli è un borgo pittoresco, di poco più di duemila anime, “sdraiato come un vecchio addormentato” (proprio come recita il testo di “Che sarà”, una celebre canzone scritta nel 1971 da Jimmy Fontana, Franco Migliacci, Carlo Pes e Italo Greco, divenuta un cavallo di battaglia dei Ricchi & Poveri), tra i “monta e cala” delle colline astigiane, ricamate da file di ordinati vigneti, che adornano, come pizzi e merletti, i declivi sinuosi e morbidi del Monferrato. Attorno, sulle alture più preminenti, spiccano le altre “sentinelle” rimaste a presidio di un Marchesato che non c’è più: le case arroccate di Montegrosso, Rocchetta Tanaro, Castello di Annone, Incisa Scapaccino.

Una veduta aerea di Mombercelli

In questo angolo incantevole del Piemonte, dove una secolare cultura contadina, basata sulla tenacia e sulla proverbiale pazienza dei nostri antenati, ha saputo modellare la natura – ma sempre con gesti di umile e rispettosa sacralità – dando vita ad una viticultura di eccellenza, ebbene, in quest’angolo di bellezze naturali incomparabili che profumano di mosto, di tartufi e di sapienza antica – chi lo direbbe? – c’è anche chi coltiva il tipico “carciofo astigiano”, o meglio l’ “articiòch (o arciciòch) astesan”, detto anche “carciofo della Valtiglione”.

Questo tipo di carciofo ricorda nell’aspetto il carciofo cosiddetto romano: è senza spine, con un cuore delicato, tenerissimo, delizioso. Il protocoltivatore di questa specie piemontese è un contadino sulla soglia degli ottant’anni, portati benissimo, che risponde al nome di Egidio Gagliardi, titolare dell’azienda di agriturismo “La tartufaia”, che si presenta con un cappello da campagnin, camicia azzurra e addosso una pettorina. Egidio, che iniziò a coltivare gli articiòch a Mombercelli cinquant’anni orsono, precisa: «È una specie più tardiva rispetto a quella sarda, a quella ligure o romana. I nostri carciofi piemontesi si iniziano a raccogliere da maggio in poi: hanno pochissimo scarto, non hanno spine e sono senza “barba” all’interno».

Stefano Scavino, Gabriella Chiusano, portavoce di Slow Food Piemonte ed Egidio Gagliardi in un campo di carciofi a Mombercelli

In questa zona, come racconta l’anziano coltivatore, i carciofi sono presenti da tempo immemorabile. Gagliardi spiega tuttavia che un tempo gli arciciòch non erano un cibo per tutti. Per il popolo costituivano quasi un frutto proibito, riservato alle famiglie borghesi e aristocratiche, che li facevano crescere nei giardini come fossero delle piante ornamentali, ma ne coglievano i frutti quando erano maturi, creando piatti gustosi da gourmet. Fu tra la fine degli Anni Sessanta e i primi Anni Settanta del Novecento che Egidio Gagliardi ne recuperò un piantino, e poco alla volta, talea dopo talea, ne estese la coltivazione su un campo di almeno un ettaro.

Da qualche anno, alle coltivazioni di Gagliardi si sono aggiunte quelle di un giovanissimo contadino, Stefano Scavino, titolare dell’Agriturismo “Duipovron”: un architetto convertito all’agricoltura, che si è posto come obiettivo quello di salvaguardare coltivazioni rare ed autoctone, indipendentemente dalla loro redditività, ponendo piuttosto l’attenzione sull’unicità e l’eccellenza del gusto.

Un piatto squisitamente piemontese: i carciofi ripieni di peperoni

L’articiòch di Mombercelli, ovvero il “carciofo astigiano”, proprio grazie all’interessamento di Stefano Scavino, è già stato inserito nell’Arca del Gusto dei prodotti del territorio, e diventerà molto probabilmente un “Presidio Slow Food”. La sua coltivazione non è semplice: richiede cure continue, impegno e tanta passione. Non si può partire dalla semina, in quanto il seme è soggetto a rapide mutazioni genetiche, ma da piantumazioni che vengono effettuate ogni anno nel mese di novembre.

Ma il frutto vale la fatica: il carciofo astigiano è davvero insuperabile per la tenerezza della sua “carne”, delicata, tenera e saporita. Ottimo se cucinato ripieno con i peperoni, è davvero speciale quando è consumato crudo nel pinzimonio, cioè quando viene bagnato nell’olio (bagnà ant l’euli), magari insieme ad altre verdure fresche del territorio. Davvero eccezionale questo carciofo che parla piemontese, anzi: astigiano.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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