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Storie al femminile: Alessandra Boarelli, la prima donna in vetta al Monviso

L’alpinista, nata a Torino nel 1838,  fu la prima donna a raggiungere la cima a 3.841 metri. Era il 16 agosto 1864

Probabilmente furono le avvincenti letture pubblicate da un giornale locale di Saluzzo e dalla Gazzetta di Torino nella primavera del 1863 sulle prime scalate inglesi al Monviso, compiute da William Mathews nel 1861 e l’anno successivo da Francis Fox Tuckett  a stimolare la voglia di avventura in Alessandra Boarelli. L’idea di questi articoli fu di Quintino Sella, in quel periodo Ministro delle Finanze del Regno, ma anche appassionato alpinista. L’intento era quello di far nascere tra i notabili torinesi e delle zone prealpine l’attenzione e l’amore per le montagne così vicine e così ignorate, tanto da consentirne la conquista delle principali cime alle cordate inglesi dell’Alpine Club.

Il Sella da parte sua serbava il desiderio di compiere una ascensione sul Monviso, montagna simbolo che domina le pianure di Torino Saluzzo e Cuneo con i suoi 3.841 metri di quota,  con una cordata tutta italiana, quale miglior modo per celebrare una conquista in nome dell’Italia da poco unificata. Ma tutto questo clamore aveva suscitato in quella primavera del 1863 una vera e propria corsa al Viso da parte dei personaggi di una certa condizione sociale ed economica del Saluzzese e Torinese, molte comitive si erano mosse nei mesi di luglio ed agosto per ricognizioni e tentativi di salita, tra questi vi era anche Alessandra Boarelli alimentata dal desiderio di cimentarsi nell’impresa.

Alessandra Re, torinese di nascita si era trasferita a Verzuolo nel 1856 per il matrimonio con il nobiluomo Emilio Boarelli, aveva 25 anni ed era già madre di due figli quando partecipò alla spedizione. Era una donna determinata, colta e moderna, pronta a sfidare convenzioni e pregiudizi, anche se per i costumi dell’epoca non era un’impresa semplice da affrontare per una donna, sia per le difficoltà pratiche che per l’opinione pubblica. L’alpinismo sino ad allora era di esclusivo predominio maschile, prima di lei soltanto altre due donne avevano partecipato a delle scalate, Marie Paradis cameriera in una locanda di Chamonix, senza alcuna esperienza di quota aveva raggiunto la cima del Monte Bianco il 14 luglio 1808 trascinata al seguito di un gruppo guidato da Jacques Balmat, ma non si può dire che la sua sia stata una vera impresa alpinistica e trent’anni dopo la facoltosa nobildonna ginevrina Henriette d’Angueville, prima pioniera al femminile, vestita con una gonna sotto la quale si nascondeva un paio di pantaloni, con sei guide e sei portatori aveva raggiunto anche lei la più alta vetta delle Alpi il 4 settembre 1838.

Una vecchia cartolina del Monviso e, sotto, il Bivacco Boarelli, rifatto di recente

Ma negli anni della seconda metà dell’ottocento i pregiudizi verso le donne alpiniste rimanevano ancora molti ed ancora per parecchi anni a venire come si può leggere da un manuale sull’alpinismo del 1898: «……non vogliam dire che la donna debba seguire punto per punto le orme maschili e gettarsi inconsideratamente nelle imprese superiori alle sue esigue forze fisiche e morali. Si contenti la donna, di salite di ordine più modesto, e non avrà guari difficoltà a fare una scelta raffinata. Vi sono salite classiche e facili ….. che danno l’illusione delle più eccelse ascensioni!».

Alessandra Boarelli comunque incurante dell’ardua impresa tentò l’ascesa al Monviso in quei primi giorni del torrido agosto 1863, la sua spedizione sistemò il campo base nel pianoro delle Forciolline a 2.835 metri di quota sotto il passo delle Sagnette, con l’intenzione di proseguire il giorno seguente verso la vetta. Con loro c’era la guida Baltolomeo Peyrot di Bobbio Pellice che aveva già partecipato male equipaggiato l’anno prima alla spedizione dell’inglese Tuckett, a cui erano spettati compiti gravosi come portatore di gran parte del materiale. Al pianoro delle Forciolline però il giorno seguente, o per il maltempo e la nebbia fitta, o per la rinuncia ad accompagnare la comitiva da parte della  guida Peyrot  alla quale si erano affidati, o per altre motivazioni insorte, la comitiva si ritirò.

Una rinuncia fatale poiché la settimana successiva fu invece Quintino Sella, deciso ad agire senza perdere tempo temendo altri concorrenti, che avrebbe dovuto avvalersi anche lui della guida Peyrot già pratico della via, ma che  declinò l’incarico, arrivò con una cordata interamente italiana sulla vetta. Forse in segno di riconoscenza a questa donna  audace  il Sella compì un gesto galante dedicandole il pianoro delle Forciolline e nominandolo Maita Boarelli.

Ma la giovane donna non si perse comunque d’animo e l’anno seguente ritentò l’ascensione, la comitiva era composta oltre che da lei dalla quattordicenne Cecilia Fillia, figlia del notaio di Casteldelfino, da don Carlo Galliano parroco di Casteldelfino, da una guida locale e dai signori Maynardi e Richard. Sistemato nuovamente il campo alla Maita Boarelli, il giorno dopo il 16 agosto 1864 la cordata raggiunse la sommità del Monviso. Scrive L’Opinione del 25 agosto 1864: «Il giorno seguente di buon mattino intraprendevano la salita del monte. Il tempo, dianzi piovoso, si rasserenò come per cortese riguardo al bel sesso che coraggiosamente s’avventurava per quelle roccie, per l’addietro reputate inaccessibili…».

Nonostante l’importanza di questa impresa, essa venne per lungo tempo minimizzata dagli organi d’informazione, come ad testimonia l’immediata presa di posizione de La sentinella delle Alpi del 25 agosto 1864: «Ora che è provato che perfin le donne raggiunsero quella punta culminante, che fino all’anno scorso si credette inaccessibile, chi sarà quel touriste che si perderà di coraggio all’atto della prova?».

Dopo questa avventura e nonostante la passione per l’alpinismo, Alessandra Boarelli si dedicò alla vita familiare e ai figli. Morì a Verzuolo nel 1904 all’età di 66 anni.

 

Beppe Ronco

Torinese, appassionato di montagna e di fotografia, ha scritto alcuni libri sui castelli e sulle fortificazioni del Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta e dell’arco alpino.

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