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Smemorato di Collegno: soltanto di recente il test del DNA ha fugato gli ultimi dubbi

TORINO. Il 5  novembre 1928, il Tribunale Civile di Torino, ribaltava i risultati delle indagini condotte dalla questura e identificava in Mario Bruneri il cosiddetto Smemorato di Collegno. Si metteva così fine a una questione che aveva profondamente colpito l’opinione pubblica e la nascente moderna criminologia. Le bugie hanno le gambe corte, recita un proverbio che abbiamo sentito tante volte durante la nostra fanciullezza. Però, per la vicenda dello Smemorato di Collegno le gambe delle bugie non dovevano poi essere tanto corte, poiché solo nel 2014, con l’esame del DNA, si è aggiunta una parziale certezza alla già condivisa consapevolezza che lo Smemorato fosse effettivamente Mario Bruneri e non il professor Giulio Cannella. Un ossimoro in apparenza, ma che di fatto sorregge una vicenda che ha fatto discutere una generazione di italiani e, ancora oggi, continua a risultare contrappuntata da alcuni inquietanti interrogativi.

L’esame del DNA è stato condotto grazie alla collaborazione del nipote, Julio Canella, ma il risultato di fatto ha riportato alla più diffusa certezza: lo Smemorato di Collegno era Mario Bruneri. La prova del Dna è stata effettuata comparando il profilo genetico di Julio, nipote certo di Giulio Canella, con quello del fratello Camillo, un figlio dello Smemorato nato dopo la fine della guerra, quando il presunto professore ricomparve senza memoria, accolto nel manicomio di Collegno e riconosciuto da Giulia Canella come suo marito. Di fatto il cromosoma Y non sarebbe lo stesso, dunque in comune non avrebbero lo stesso padre. La strada del DNA era già stata tentata già qualche anno fa, allora furono analizzati i residui di saliva dei francobolli apposti sulle lettere che negli anni Giulio Canella e poi lo Smemorato di Collegno, avevano affrancato. Le tracce biologiche si sono rivelate però insufficienti per un esame dall’esito sicuro. Ora la prova del Dna attraverso il cromosoma Y non lascerebbe più dubbi. Se il risultato venisse confermato, la comparazione proverebbe che l’uomo ritrovato a Collegno non era Canella, per avere la certezza che in realtà fosse Bruneri servirebbe però un’ulteriore comparazione del Dna con un discendente maschio del tipografo.

Ma ripercorriamo le fasi salienti di questa straordinaria storia che divise l’Italia. Tutto ha inizio nelle prime ore della mattina del 10 marzo 1926, nel cimitero ebraico di Torino, quando due guardiani sorprendono uno strano personaggio, oggi diremmo un “senza tetto”, che tenta di sottrarre un vaso di rame da una tomba. Immediatamente arrestato, l’uomo è condotto in Questura: si esprime con difficoltà, non conosce il suo nome, non ricorda nulla e soprattutto non sa spiegare la sua presenza nel cimitero di notte. Però si rivolgerà alla forza pubblica in dialetto piemontese: “monsù, ch’am ruvina nen. Ch’am fasa l’piasì ‘d lasseme andè”. Parole spontanee, senza un’apparente importanza, ma che di fatto saranno fondamentali per la loro caratura dialettale. Fortemente agitato, ma considerato più malato che criminale, per l’uomo non si aprono le porte del carcere in attesa di giudizio, ma quelle dell’ospedale psichiatrico di Collegno, dove viene preso in carico dai sanitari e identificato con il numero 44170: la sua unica identità per circa un anno.

La questura torinese richiede l’intervento di un medico municipale: il dottor Casimiro Biey, che visita l’arrestato, quindi redige una sintetica relazione: “Torino, 10 marzo 1926. A richiesta delle Autorità di Pubblica Sicurezza ho visitato un individuo, dell’apparente età di 45 anni (non fu possibile meglio identificarlo). Risulta che commetteva atti pazzeschi sulla pubblica. Presenta sintomi di alienazione mentale, con propositi di suicidio. Da quanto sopra, ritenendolo pericoloso a sé e agli altri, ne giudico necessario il ricovero d’urgenza al Manicomio”. Il soggetto presenta corporatura robusta, sulla quarantina, con barba brizzolata ispida; risponde con frasi sconnesse, senza senso, che fanno pensare a uno squilibrio mentale di non facile accertamento. Il giorno dell’arresto, in Questura gli sono state prelevate le impronte digitali e compilato il suo cartellino segnaletico, che viene trasmesso a Roma, al Servizio centrale di identità. Questa procedura si rende necessaria perché l’identificazione degli arrestati e dei fermati deve essere sicura e, allora, con i sistemi di cui si disponeva, tale pratica non sempre poteva essere certa. Con la verifica alla sede centrale, si potevano confrontare tutti gli eventuali precedenti che risultavano a carico dell’arrestato, anche quando costui si fosse presentato con false generalità. I pochi dati raccolti (la sua fotografia, ma nessun’altra rilevazione di carattere antropologico-giudiziario), sono inviati anche all’ufficio centrale della Polizia di Torino.

Probabilmente la vita del paziente 44170 sarebbe andata avanti nei padiglioni e nei cortili di Collegno per chissà quanto tempo, forse per la sua intera esistenza, se non fosse intervento un evento “mediatico” destinato a sbloccare in modo completamente inatteso la vita dello Smemorato. Infatti, il 6 febbraio 1927 la fotografia dello “Smemorato di Collegno” viene pubblicata sulla “Domenica del Corriere” e il quotidiano “La Stampa”, nello stesso mese, pubblica una serie di articoli sullo sconosciuto 44170. Lo Smemorato, avvolto dalla diagnosi che lo indica come sofferente di “stato confusionale depressivo”, legge e scrive; ha cominciato a tenere un diario che il professor Mario Ponzo, responsabile del reparto di osservazione di Collegno considera di “buon valore”. Inoltre scrive un saggio sul poeta Arturo Graf e uno su Napoleone; trascrive anche alcuni sogni che poi consegna al professor Ponzo. La sua scrittura è ricercata e a tratti enfatica, trapuntata però da alcuni errori e incertezze ortografiche. Rivela inoltre una buona mano dal punto di vista grafico: discreta infatti la sua capacità nel disegno.

I servizi giornalistici hanno effetti inaspettati: a Verona, Giulia Canella, moglie del professor Giulio Canella, riconosce nello Smemorato il marito, capitano della Brigate Ivrea inviata in Macedonia, dichiarato disperso il 25 novembre 1916 presso Bitola. Giulio Cannella, nativo di Padova (1881), era un noto letterato e docente, che a Verona dirigeva una istituto magistrale; fondatore (1909) con padre Agostino Gemelli della “Rivista di filosofia neoscolastica”, nel 1916 fu tra i fondatori del quotidiano cattolico “Corriere del mattino”. Nel 1913, si era unito in matrimonio con la cugina, Giulia Concetta Canella, quasi fanciulla e figlia di un possidente terriero, che aveva grossi investimenti in Brasile. Dall’unione nacquero due figli: Rita e Giuseppe. Richiamato nell’esercito con il grado di capitano, Cannella fu dichiarato disperso dal Ministero della guerra. Dopo oltre dieci anni, la moglie, potrebbe di riabbracciare l’uomo che credeva ormai definitivamente perduto. E così, il 5 marzo 1927, la donna parte alla volta di Collegno con il padre e i due figli. Appena giunta all’ospedale psichiatrico piemontese non ha dubbi: quell’uomo è il professor Giulio Canella. Il riconoscimento avviene anche in relazione al fatto che la fisionomia dello sconosciuto presenta rilevanti somiglianze con quella del professore, pur tenendo conto del tempo, della guerra e delle traversie passate. Anche se all’inizio lo Smemorato non sembra dare segni di interesse per la donna, dopo alcuni incontri lentamente nella sua mente pare si riaccenda la coscienza. Nel cuore di Giulia Cannella la speranza divenne lentamente certezza, comunque consegna alla polizia una fotografia del marito, perché si proceda nelle indagini. Il direttore del manicomio dimette lo Smemorato poiché “ritenuto identificato il soggetto, con provvedimento emesso ai sensi dell’articolo 3 della legge sui manicomi” e lo “affida alla sedicente moglie”, per un periodo di prova.

A quel punto la storia pare andare verso l’ambito lieto fine, ma, come nei romanzi d’appendice di quel periodo, ecco il colpo di scena. Il 7 marzo 1927, una lettera anonima inviata alla questura torinese, sostiene che lo Smemorato di Collegno non sarebbe il professore veronese, ma certo Mario Bruneri (nato a Torino il 1886), un ex-tipografo, con un passato non proprio limpido, con alcune pendenze legali per reati contro il patrimonio e noto anarchico. Dagli archivi della Polizia saltano fuori le foto segnaletiche del Bruneri che presentano una sorprendente somiglianza con quello dello Smemorato… Dai documenti conservati nell’archivio della Polizia, si evince che il soggetto è ricercato dal 1922 a seguito di alcune condanne per truffa e lesioni. Oltre alle fotografie ci sono anche le impronte digitali, raccolte in occasione di due precedenti arresti (gennaio 1920 e gennaio 1922): si tratta di verificarle e di trarre le dirette conclusioni; dall’analisi risulta che le linee papillari dell’indice, medio e anulare della mano destra del Bruneri, corrispondono perfettamente con quelle dello Smemorato, al quale nel frattempo erano state rilevate. Quindi la scienza giudiziaria, armata di tutti gli strumenti del positivismo, non ha dubbi: quell’uomo non è il professor Canella, bensì Mario Bruneri, sposato con Rosa Negro e padre di un bambino, che dal 1920 non aveva più dato notizie di sé alla famiglia. Inoltre, nel confronto con quell’uomo, la moglie di Bruneri, il figlio quattordicenne, Giuseppino, le sorelle e il fratello, riconoscono il loro congiunto nello Smemorato: inizia così una battaglia legale per ufficializzare il riconoscimento. Oltre alla moglie c’è un’altra donna che certamente aveva avuto un ruolo importante nell’esistenza di Bruneri: Camilla Ghidini, la sua amante, una figura che ebbe la forza di dare al suo uomo l’occasione per cercare di mettere a frutto le aspirazioni che lo animavano.

In quel periodo, Bruneri intendeva diventare editore e pubblicare una rivista dedicata alla pubblicità, alla moda e all’arte: il titolo era già stato deciso: “La Campana della Superba”, mancavano solo i soldi. E così, per dare corpo al progetto, l’intraprendente Mario fece società con Anna Crescenzi che nell’iniziativa investì diecimila lire. Ma immediatamente dopo, Mario e Camilla si trasferirono a Genova e quindi a Milano: spostamenti quasi certamente dedicati alla ricerca di possibilità di lavoro, forse in Lombardia le velleità editoriali si sarebbero effettivamente concretizzate. Mario Bruneri era anche alla ricerca di un editore a cui proporre un suo romanzo: un segno preciso della sua voglia di emergere, un’opportunità per dare qualcosa della sua vita e del suo sentire profondo, a cui forse nessuno si era mai interessato.

Mentre Mario cercava di avventurarsi nell’editoria, Camilla lavorò a servizio presso una famiglia milanese. In Camilla ci sentiamo di scorgere l’immagine di una donna che veramente seppe amare il Bruneri: fu la compagna degli anni difficili; anni comunque non privi di gocce di speranza alimentate dalle iniziative letterarie di Mario. Nell’insieme viene fuori un’esperienza che a prima vista pare rimandare a un’esistenza bohemienne: l’ex-tipografo che voleva passare dall’altra parte del tavolo dei caratteri di piombo e la compagna pronta a farsi donna di servizio per sorreggere le speranze di un uomo che aveva affidato alla carta stampata il proprio futuro, suggeriscono un’immagine ben lontana da quella grigia e fiacca, anche un po’ perversa, che i giornali hanno alimentato. Le testimonianze rilasciate al tribunale dalla Ghidini, e da altre persone non lasciano dubbi sull’identità dello Smemorato: si tratta proprio di Mario Bruneri.

L’identificazione abbatte quindi quanto sostenevano Giulia Canella e i suoi familiari, cioè l’ipotesi tendente a riconoscere nello sconosciuto ricoverato a Collegno il proprio congiunto che, dopo essere stato rilasciato da un campo di concentramento in Macedonia, era giunto travolto dall’amnesia fino al capoluogo piemontese. I Canella incaricano il tenente Giuseppe Parisi di investigare in privato per far luce sulla vicenda che, come è facile immaginare, a questo punto travolge la distinta famiglia veronese in uno scandalo di gente per bene. Per cercare di scoprire ulteriori informazioni sulla biografia dello Smemorato, al controllo dattiloscopico si affianca lo studio della morfologia del volto: una attenta verifica del profilo sinistro dello Smemorato, confrontata con la fotografia del Canella fornita dalla moglie, permette di stabilire che tra i due vi è una notevole differenza. Inoltre, attraverso la tecnica dello studio dei padiglioni auricolari – altamente innovativa per il periodo – i criminologi stabiliscono che vi sono ben diciassette punti differenti tra la fotografia di Canella e lo Smemorato.

Gran parte dell’opinione pubblica crede di aver qualcosa da dire sull’argomento; immediatamente l’Italia si spacca in due: da una è parte i canelliani e dall’altra i bruneriani. La stessa famiglia del professore veronese non accetta il verdetto della scienza. Ma anche tra gli uomini di scienza i pareri erano contrastanti: infatti se, come il professor Alfredo Coppola dell’Università di Torino, perito che vedeva il Bruneri un simulatore, vi erano psichiatri e criminologi che ritenevano certa l’identità dello Smemorato, vi erano di contro personalità che proponevano versioni diametralmente opposte, spesso su basi che non potevano essere rigettate in toto.

Lo smemorato, che la signora Canella continua a considerare come il proprio marito, è riconosciuto dalla signora Bruneri e dal figlioletto come legittimo sposo e padre, anche se 44170, neo-Canella, non condivide il parere dei richiedenti e si riconosce nel professore veronese. Da parte sua, Giulia Canella, che si trova con due figli e neppure vedova, forse vede nel Giulio/Mario un’occasione per riprendere una vita familiare troppo presto interrotta? La famiglia Canella inizia una lunga trafila giudiziaria al fine di giungere alla conferma dell’identità dello Smemorato nella persona del professor Giulio Cannella. Una vicenda che coinvolse non solo gli organi competenti, ma che divenne oggetto di grande attenzione da parte degli italiani, divisi in due fazioni, anche in un’epoca in cui (forse per fortuna) non esistevano i talk show.

Molti i fatti collaterali e i coinvolgimenti che caratterizzano lo scontro a cui qui non possiamo neppure accennare, poiché richiederebbero centinaia di pagine. Di seguito proponiamo un quadro sintetico ma completo dei fatti giudiziari seguenti il riconoscimento del professor Cannella nello Smemorato da parte di Giulia Canella, ma smentito da parte dei familiari di Mario Bruneri:

  • 28 dicembre 1927, il tribunale torinese, sulla base delle indagini della questura e delle perizie effettuate, emette un’ordinanza che non ritiene raggiunta l’identificazione dello Smemorato e quindi ordina la scarcerazione di Mario Bruneri
  • Conseguente azione civile da parte della famiglia Bruneri per il riconoscimento dell’identità di Mario Bruneri nello Smemorato
  • 5 novembre 1928, il Tribunale Civile di Torino, ribalta i risultati delle indagini condotte dalla questura e, dopo aver respinto le istanze dei Canella, identifica Mario Bruneri nello Smemorato. I Canella ricorrono in appello
  • 7 agosto 1929 la Corte d’Appello di Torino, conferma la sentenza di primo grado. I Canella ricorrono alla Cassazione
  • 11 marzo 1930 la Cassazione annulla la sentenza della Corte d’Appello ritenendo insufficiente la documentazione raccolta per il processo e troppo limitate di opportunità offerte ai Canella di addurre prove contrarie; rinvia gli atti alla Corte d’Appello di Firenze
  • 1° maggio 1931 la Corte d’Appello di Firenze respinge la richiesta della famiglia Canella e conferma la sentenza di Torino
  • 24 dicembre 1931 la Cassazione respinge il ricorso e conferma la sentenza di Firenze
  • 1° maggio 1932, grazie ad un’amnistia, Mario Bruneri viene rilasciato dal carcere e nel mese di ottobre parte per Rio de Janeiro, dove è accolto nella famiglia Canella come Giulio; qui vive fino alla morte (12 dicembre 1941); il governo brasiliano registra lo Smemorato con il nome di Giulio Canella, mentre i quattro figli (due già della donna e di Giulio Cannella, quello teoricamente scomparso in Grecia) sono iscritti con il cognome Canella
  • 1946 istanza di annullamento basata sulla legge che annullava le sentenze politiche emesse dalla magistratura fascista, viene comunque respinta
  • 1964 ulteriore istanza di revisione del processo, presentata da Giuseppe Canella, figlio di Giulio e Giulia Cannella, che viene respinta.

In Brasile Canella/Bruneri si dedica allo studio della filosofia e scrive una serie di saggi; inviò anche alcune sue riflessioni a Pio XI, ottenendo risposte (con relativa benedizione) da parte della segreteria vaticana indirizzare all’ “Illu.mo dottor Giulio Canella”. Il processo trasformazione era quindi completato: l’anarchico e delinquente Bruneri era diventato l’intellettuale cattolico Bunella, avvolto da un’impenetrabile aura di ambiguità che, ancora oggi, comunque ne avvolge la memoria.

Per saperne di più: M. Centini, Il volto oscuro del Piemonte. Crimini e criminali d’altri tempi, Edizioni Yume.

 

 

Massimo Centini

Classe 1955, laureato in Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Ha lavorato a contratto con Università e Musei italiani e stranieri. Tra le attività più recenti: al Museo di Scienze Naturali di Bergamo; ha insegnato Antropologia Culturale all’Istituto di design di Bolzano. Docente di Antropologia culturale presso la Fondazione Università Popolare di Torino e al MUA (Movimento Universitario Altoatesino) di Bolzano. Numerosi i suoi libri pubblicati in italiano e in varie lingue.

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