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Sedano rosso di Orbassano, tradizione che dura dal 1700

ORBASSANO. Fu ai tempi di Anna Maria d’Orléans, consorte di Vittorio Amedeo II, duca di Savoia e re di Sardegna dal 1720, che si portarono dalla Francia piantine e semi del sedano violetto di Tours, una varietà di sedano più tenera e saporita di quelle tradizionalmente coltivate in Piemonte. L’ortaggio, di cui si tramanda fosse ghiotta la duchessa francese, figlia del duca d’Orléans e nipote del re di Francia Luigi XIV, trovò l’habitat ideale nella piana agricola a sud della capitale sabauda, nelle terre tra Stupinigi, riserva di caccia dei Savoia, e il borgo agricolo di Orbassano, rese fertili e produttive sin dalla fine del Quattrocento grazie alle derivazioni artificiali, come la Bealera di Orbassano, che canalizzavano l’acqua prelevata dalla Dora Riparia consentendo l’irrigazione dei campi.

Un ritratto di Anna Maria d’Orleans

Con l’andar del tempo il sedano violetto francese, per una combinazione di fattori, dalla composizione dei terreni alle condizioni climatiche, assunse caratteri organolettici e estetici nuovi, differenziandosi dal progenitore e imponendosi come varietà a sé stante. In particolare comparvero le striature rossastre alla base delle coste (presenti nel 70% circa dei casi) e prese corpo il sapore leggermente ammandorlato che, insieme con la carnosità delle coste e il profumo intenso, rappresentano qualità tali da rendere il sedano di Orbassano interessante e ricercato per l’utilizzo gastronomico.   

La Palazzina di caccia di Stupinigi

Il passaggio dal violetto al rosso ci ricorda come l’aspetto cromatico, specialmente nella cucina medievale e rinascimentale, fosse determinante nella scelta degli ingredienti e dei cibi, anche per l’influsso esercitato dal pensiero di Aristotele che nel De Anima aveva stabilito corrispondenze tra il colore e il sapore delle vivande (al bianco corrisponde il dolce, al rosso si collega l’aspro, e così via). Anche la mutazione del colore è un fenomeno che si è manifestato più spesso di quanto s’immagini: eclatante è il caso della carota, oggi associata all’arancione, ma che in realtà, prima del Seicento, appariva per lo più tendente al rosso-violaceo, chiamata per questo in alcuni trattati medioevali di agronomia “pastinaca rossa” (la pastinaca è un tipo di radice somigliante alla carota, ma bianca). Acquisì la prevalente colorazione arancione, con cui oggi la conosciamo, nel corso del Seicento per le selezioni operate dai contadini olandesi, che vollero rendere omaggio alla famiglia degli Orange-Nassau, oggi sul trono dei Paesi Bassi, artefice dell’indipendenza olandese dal regno di Spagna, scegliendo per il popolare ortaggio il loro colore dinastico (e oggi colore nazionale olandese).

Il sedano rosso, come si è già detto, si acclimatò perfettamente nella piana agricola tra Stupinigi e Orbassano perché necessita, per crescere al meglio, di terreni sabbiosi, che siano ricchi d’acqua, in misura sufficiente a garantire lo sviluppo dell’esteso apparato radicale, ma anche drenanti, considerando la sensibilità dell’ortaggio all’attacco di parassiti fungini. Mentre le varietà comuni di sedano sono pronte in una cinquantina di giorni, il sedano rosso si semina in aprile/maggio per essere raccolto di norma nel mese di ottobre. 

I contadini della zona, ingegnandosi per prolungare la conservazione del prodotto, idearono per il sedano uno stratagemma originale: dopo la raccolta, che avviene tuttora a raso, s’interrava l’ortaggio in fosse di una profondità corrispondente alla lunghezza delle coste, ricoprendole poi con fieno di erbe raccolte nelle aree paludose dei boschi di Stupinigi. In tal modo, protetto dal gelo, il sedano poteva conservarsi sino a marzo.  

Il successo del sedano rosso in quest’angolo di campagna alle porte di Torino ci evidenzia anche l’importanza dell’orticoltura nelle aree agricole attorno alla capitale sabauda: ogni comunità si andò specializzando, in base alle caratteristiche dei suoli e del clima, nella coltivazione di tipologie specifiche di verdure e ortaggi, da vendere nei mercati torinesi. Fu così che divennero famosi l’insalata di Nichelino, gli asparagi di Santena, le fragole di San Mauro, i cavoli di Settimo, le rape e i rapanelli di Savonera, il cavolfiore di Moncalieri.

Un tempo la coltivazione degli orti era appannaggio femminile e proprio alle donne di famiglia, le ortolane, era assegnato il compito di occuparsi della vendita al mercato degli ortaggi, chiamati nel Medioevo erbe. Di questa realtà rimangono tracce evidenti nella toponomastica di paesi e città, dove con Piazza delle Erbe, non a caso l’antica denominazione dell’odierna piazza Palazzo di Città a Torino, si designava lo spazio urbano in cui veniva periodicamente allestito il mercato orticolo.

La coltivazione del sedano rosso, come di altre tipicità presenti nella fascia territoriale attorno alla metropoli, declinò dagli anni Sessanta, a causa della conversione di molti terreni da agricoli a industriali, dell’impennata dei costi di produzione e della concorrenza di varietà importate più competitive, come il sedano americano.

In tempi recenti il rinnovato interesse per le varietà tradizionali di verdure e ortaggi e una maggiore sensibilità per la protezione dell’agricoltura in zone limitrofe alla città ha favorito una certa ripresa del sedano rosso, il cui consumo rimane comunque in gran parte confinato al mercato locale, pur registrandosi l’interesse dell’industria cosmetica e erboristica, che ne apprezza le proprietà officinali.

Paolo Barosso

Giornalista pubblicista, laureato in giurisprudenza, si occupa da anni di uffici stampa legati al settore culturale e all’ambito dell’enogastronomia. Collabora e ha collaborato, scrivendo di curiosità storiche e culturali legate al Piemonte, con testate e siti internet tra cui piemontenews.it, torinocuriosa.it e Il Torinese, oltre che con il mensile cartaceo “Panorami”. Sul blog kiteinnepal cura una rubrica dedicata al Piemonte che viene tradotta in lingua piemontese ed è tra i promotori del progetto piemonteis.org.

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