Lingua & tradizioni piemontesi

Modi di dire piemontesi: da “bel deuit” a “esageroma nen”

Piemontèis, fàus, serios e cortéis: un modo di dire che abbiamo sentito tante volte e che si collega alla diffusa abitudine di assegnare ad ogni regione prerogative e caratteristiche destinate a fornire un’immagine stereotipata degli abitanti di una determinata località.

Ma perché fàus e cortéis? Forse un altro detto piemontese può illuminare un po’ la questione: Aventa dovré bel deuit edco con ij desteuit” (bisogna usare bel garbo anche con i maleducati). In sostanza dal proverbio viene fuori un motivo ricorrente  nel “tipo piemontese”: il bel deuit: il bel garbo che sicuramente non è una prerogativa molto diffusa, oggi in particolare. Di certo questo aspetto della piemontesità può anche essere interpretato come falsità, se visto con malafede, o se letto con il condizionamento dell’attuale cultura, che ha assegnato alla volgarità e alla maleducazione un ruolo dominante nei rapporti con gli altri.

Il bel deuit piemontese, narrano i conoscitori di cultura subalpina, non era solo prerogativa dei cittadini, ma anche dei paisan, i contadini per nulla zoticoni o poco inclini alle buone maniere, come invece erano descritti dai narratori romantici. Dal punto di vista etimologico bel deuit deriverebbe dal latino doctus: a darcene notizia è un grande conoscitore di cose piemontesi, Camillo Brero che si rifà al Dizionario etimologico del dialetto piemontese del Levi (1927). Pertanto chi è provvisto di bel deuit sarebbe istruito, educato, dotto…

Tutti ingredienti che rendono migliori i rapporti tra gli uomini appianando le differenze, proponendo opportunità di incontro e di dibattito. In effetti: El bel deuit e la bona creansa a saran mai ed difet… L’educazione e la “chiusura” delle genti piemontesi nasce soprattutto dall’isolamento determinato dalle montagne, perché non si nasce per caso ai piedi delle cime più alte d’Europa, qualcosa deve pur restare, il carattere, che piaccia o non piaccia, un po’ ne risente.

La serietà, la pacatezza e la suscettibilità sono prerogative delle genti pedemontane, con le loro virtù e i loro difetti. La Torino “francese, gesuitica, padana, montana” ben descritta da Guido Piovene è la terra delle opinioni ponderate e misurate. Per il noto scrittore, i piemontesi erano gli unici italiani “forse che possiedono più opinioni che idee, in un Paese come il nostro, nel quale le idee sono molte ma le opinioni rade”.

E allora riaffiora alla mente il modo di dire che in Piemonte è piuttosto ricorrente: esageroma nen, non esageriamo. Espressione che ben sintetizza la volontà dei piemontesi di mantenere un tono pacato, misurato e privo di barocchismi. Consapevolezza dei propri limiti, diffidenza e lealtà, a cui si aggiunga l’atavica cortesia, sono caratteristiche di un popolo che ai piedi dei monti ha saputo mantenere la propria identità, anche in un mondo in cui il bel deuit è spesso confuso con la falsità e il servilismo.

Massimo Centini

Classe 1955, laureato in Antropologia Culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Ha lavorato a contratto con Università e Musei italiani e stranieri. Tra le attività più recenti: al Museo di Scienze Naturali di Bergamo; ha insegnato Antropologia Culturale all’Istituto di design di Bolzano. Docente di Antropologia culturale presso la Fondazione Università Popolare di Torino e al MUA (Movimento Universitario Altoatesino) di Bolzano. Numerosi i suoi libri pubblicati in italiano e in varie lingue.

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