Lingua & tradizioni piemontesiPersonaggi

Romualdo Ferrero: 160 anni di storia dell’antica bòita delle macchine taglia-cremini

TORINO. La parola bòita nella parlata piemontese assume diversi significati. Dal latino buxidam, essa riporta al concetto di “scatola”, o anche di “contenitore” dove i commessi viaggiatori conservavano i campionari da esporre ai clienti. Nel linguaggio della mala, il termine si usa anche per indicare la cella di una prigione. Ma c’è un’accezione che nel gergo operaio torinese del Novecento veniva compresa inequivocabilmente da tutti: la bòita era la piccola officina, la bottega artigiana, soprattutto meccanica, dove si realizzavano – con l’aiuto di torni, frese e altre macchine utensili, e spesso con l’ausilio delle nude mani  –  piccoli e grandi capolavori meccanici, di massima precisione, frutto di una genialità creativa degli artigiani piemontesi di assoluta eccellenza. Era nella bòita che l’apprendista, o meglio il bòcia, imparava il mestiere dal suo datore di lavoro, ne apprendeva i segreti e la competenza, per diventare anch’esso, a tempo debito, un provetto artigiano in grado di aprire e gestire autonomamente, a sua volta, la “sua” bòita.

Il fondatore Romualdo Ferrero

Un ambiente di lavoro raccolto in pochi metri quadri, spesso in un contesto angusto e minimalista, ma ad altissima produttività. Nella bòita tutto è maniacalmente ordinato: ogni attrezzo, ogni utensìle dev’esser sempre riposto al suo posto dopo l’uso. E poi quell’odore caratteristico e vagamente nauseabondo di ferro e di metallo appena lavorato, di morchia e di sfrido. In quelle piccole officine (nel Novecento a Torino ce n’erano a migliaia), si producevano componenti di altissima precisione, di incomparabile funzionalità, di lunga durata che avrebbero garantito un valore aggiunto al prodotto finito del committente, tale da renderlo insuperabile per qualità ed efficienza. Una realtà oggi scomparsa, quasi del tutto.

In Via Spalato, in zona Polo Nord (fino alla prima metà del Novecento il Polo Nord era considerato un sub quartiere di Borgo San Paolo), sopravvive tuttavia (e incredibilmente) ancora una di queste bòite del Novecento, forse l’ultima in assoluto. È la Romualdo Ferrero, casa fondata nel 1858. Sì: avete letto bene: 1858. Quella bòita ha ormai  160 anni! Ne è oggi titolare Giancarlo Ferrero, pronipote del fondatore, Romualdo Ferrero, bisnonno di Giancarlo. Il capostipite dell’azienda, ai tempi dell’occupazione napoleonica del Piemonte, Romualdo appunto, non era che un ragazzino. Il suo padre putativo decise di abbandonare le campagne e le risaie di Tronzano (Vc) e cercare con la famiglia maggior fortuna in città. Al civico 14 di Piazza Castello, impianta allora una piccola bòita per la lavorazione dell’avorio, per trarne perfette e levigatissime palle da biliardo. È lì che il piccolo Romualdo si fa le ossa ed impara da suo padre l’arte di lavorare perfettamente l’avorio. Nel 1858 (data ufficiale di fondazione dell’azienda, già ricordata) Romualdo è ormai a capo della ditta, e ne trasferisce la sede alla Crocetta, in Via Gioberti 27.

L’avorio è diventato una merce protetta, dai prezzi proibitivi: la tecnologia fa passi da giganti, e c’è chi produce biglie utilizzando resine a buon mercato. La concorrenza è spietata. Occorre diversificare: Romualdo inizia a lavorare con maestria i metalli. È un padre di famiglia, ormai: due dei suoi quattro figli (Carlo, il nonno dell’attuale titolare) e Giovanni sono ormai attivamente coinvolti col padre nel lavoro della bòita. L’anziano fondatore non molla. E’ sempre attivo e pronto a dare il suo contributo di genialità e di esperienza all’azienda e ai figli. I canoni d’affitto incidono in maniera notevole sui costi di gestione: occorre trovare una sistemazione più comoda e più decentrata, dove i fitti siano meno gravosi. La ditta si trasferisce così più in periferia, in zona Vanchiglia.

Nonno Romualdo fa poi un altro grande passo: è il 1907, e decide di acquistare un terreno al “Polo Nord” (nei pressi della cascina La Grangia) dove costruire una bòita a misura della famiglia e delle necessità produttive. A distanza di 111 anni, la sede non sarebbe più cambiata, ed oggi come allora è quella di Via Spalato 90 (allora si chiamava Via Principi d’Acaja). Romualdo Ferrero ha un gran fiuto: quei terreni al margine di Borgo San Paolo hanno un prezzo tutto sommato abbordabile e poi, quell’area pullula di fabbriche e fabbrichette. Una chance in più per aumentare le opportunità di lavoro e dare un ulteriore impulso all’attività, ormai incentrata sulle lavorazioni meccaniche del metallo.

Ma c’è una peculiarità che aveva reso unica questa bòita: Romualdo Ferrero si era specializzato nella produzione di stampi per cioccolatini. È molto amico di Michele Talmone, maître chocolatier torinese di fama crescente in tutto il Paese: per la Talmone, Romualdo Ferrero produce gli stampi, seguendo le indicazioni personali dell’amico, anche dal punto di vista tecnico-scientifico: Talmone pretende che per la stagnatura della latta si applichino in modo certosino certe procedure particolari di lavorazione, che rendano ideali gli stampi, consentendo il consolidamento del cioccolato al momento giusto, e facilitando lo stacco delle praline dagli incavi dopo il raffreddamento, senza lasciare traccia nel fondo dello stampo.

Un’altra specialità della casa sono le “macchine taglia-cremini”: il primo modello viene realizzato nel 1924. Da allora viene commissionato alla Romualdo Ferrero praticamente da tutti i produttori artigianali e industriali di cioccolato del distretto piemontese e dell’Italia intera. E il bello è che macchine come questa, in lucido acciaio inox, e con le tipiche manovelle per azionare le lame, vengono prodotte ancora oggi dal pronipote del fondatore. Prima di lui, le aveva prodotte papà Romualdo (stesso nome del fondatore), scomparso nel 2003, così come le avevano prodotte i fratelli Carlo e Giovanni Ferrero, rispettivamente nonno e prozio di Giancarlo.

Nella bòita di Giancarlo, si respira l’atmosfera di un tempo: tutto sembra essersi fermato. I cimeli e i ricordi della ditta sono custoditi in due splendidi armadi in legno di noce, con cura e amore: un autentico piccolo museo, ricco di testimonianze e pregnante di storia. Ma parallelamente, la tecnologia si evolve e la Romualdo Ferrero non esita a diversificarsi: accanto alla produzione delle mitiche macchine taglia-cremini, esportate in tutto il mondo, si affianca quella della componentistica più sofisticata, come i componenti metallici delle valvole a gas, le forniture di attrezzature meccaniche nel settore automobilistico, ferrotranviario, cinematografico, delle telecomunicazioni, ecc.

Certo, al giorno d’oggi, molti maestri del gusto hanno rinunciato ai tradizionali stampi in metallo per i loro cioccolatini, e utilizzano più comunemente prosaici stampi in silicone: ma vedere esposti in bacheca quei luccicanti stampi dei giandujotti della Venchi, o delle praline della Pfatisch ci sembra di tornare a vivere in una patinata Torino novecentesca, tra il suono delle sirene delle fabbriche e il profumo inebriante che fuoriusciva dai laboratori artigiani di cioccolato.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio