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L’inconfondibile sapore della Robiola d’Alba apprezzata sin dai tempi antichi

Di gusto dolce, che ricorda il sapore del latte fresco, debolmente acido e poco salato sopratutto nelle forme fresche, la robiola è un prodotto tipico piemontese, conosciuto ed apprezzato da tutti sia per il suo peculiare sapore, che per la sua versatilità nelle ricette. Riconosciuta PAT, viene commercializzata, intera o porzionata, elaborata sotto olio d’oliva a dadini, oppure aromatizzando la pasta con tartufo, peperoncino o erbe aromatiche. Ottima anche l’insalata con sedano e noci o nocciole tostate. Schiacciata, può essere impiegata per la preparazione di ripieni di vario genere o per preparare risotti.

La storia

Il nome robiola presenta due possibili etimologie differenti: c’è chi lo ascrive al comune di Robbio Lomellina, ed al formaggio che si produceva nelle zone adiacenti, e chi, invece, asserisce che l’attuale denominazione derivi dal latino rubeola ad indicare il tipico colore rossiccio che assume la crosta del formaggio all’aumentare della stagionatura.

Le robiole vengono prodotte da tempo immemorabile in tutto il Piemonte collinare e in particolare in Langa da cui hanno preso il nome dal principale centro di produzione e smercio. Sono numerosi i documenti storici che la citano. Monsignor Della Chiesa, nel 1635 nella sua Relazione dello stato presente del Piemonte a proposito di formaggi di Langa scriveva “che noi rubiole diciamo, i quali fra i migliori d’Italia furono da Plinio annoverati”. E qualche decennio dopo, nella Prosodia italiana, overo L’arte don l’vso degli accenti nella volgar fauella d’Italia, accordati dal padre Placido Spadafora e altri (edito nel 1692) si legge: “robiole p.l.v.g. robiole di Monferrato, specie di caci”.

La produzione

Ingrediente base della Robiola d’Alba è il latte vaccino intero, crudo o pastorizzato.  Prima di procedere con l’aggiunta del caglio, il latte deve aver avviato l’acidificazione, dopodiché si procede con la “coagulazione”, la separazione delle proteine e dei grassi (la parte solida del latte) dal siero (la parte liquida): la temperatura del processo è di circa 30-37 °C, per una durata media di una, due ore.

La rottura della cagliata avviene, a seconda  delle scelte e delle esigenze di produzione, in due modi: avviene o in un tempo unico, come tipicamente veniva fatto in passato, oppure in fasi di “taglio e soste”, sino a ottenere un granulo di cagliata delle dimensioni di una nocciola.

Estratta la cagliata, questa  viene deposita direttamente negli stampi, dove poi subirà un periodo di “stufatura” a temperatura ambiente e dove verrà periodicamente rivoltata. Normalmente, il giorno dopo alla produzione, si effettua anche la salatura, che tradizionalmente avveniva a secco e per la durata di circa 12 ore per faccia. La stagionatura è generalmente molto breve, dura infatti solo 3-4 giorni, ed avviene ad una temperatura compresa tra i 5 e gli 8 °C. In caso di durata maggiore, la crosta acquista una leggera e tipica colorazione paglierina, mentre la sfumatura acidula si affievolisce lasciando spazio ad un sapore decisamente più aromatico. Grazie alle sue caratteristiche strutturali ed organolettiche peculiari, la Robiola d’Alba ben si presta ad aromatizzazioni a base di tartufo, erba cipollina o peperoncino, per quanto questa sia una tendenza relativamente recente. La tradizione, infatti, almeno per le robiole più stagionate, era quella di tagliarle a cubetti e conservarle così in albanelle sott’olio, magari accompagnate da una foglia di alloro.

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