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Il 4 novembre muore un aronese illustre: San Carlo Borromeo

Figlio di Gilberto II Borromeo e Margherita Medici di Marignano, sorella di papa Pio IV, Carlo Borromeo è il giovane rampollo della nobile e potente famiglia lombarda dei Borromeo. Nasce il 2 ottobre 1538 nella Rocca di Arona, nella stanza detta all’epoca “dei Tre Laghi” e oggi detta “di san Carlo” in suo onore. Viene battezzato poco dopo nella chiesa parrocchiale di Arona. Studia a Milano materie umanistiche sotto la guida di frate Giacomo Merula e poi diritto canonico e civile a Pavia sotto la guida del futuro cardinale Francesco Alciato, dove si laurea in utroque iure nel dicembre 1559 e dove 5 anni più tardi creerà una struttura residenziale per studenti universitari di scarse condizioni economiche ma con elevati livelli di preparazione e attitudine allo studio.

A Milano riceve l’abito clericale e la tonsura per mano del vescovo di Lodi, Giovanni Simonetta, il 13 ottobre 1547. All’età di circa 12 anni, per rinuncia di suo zio Giulio Cesare Borromeo, ottiene in affidamento l’abbazia di San Leonardo di Siponto nella provincia di Manfredonia, con l’ufficio e la dignità di abate commendatario, il reddito della quale viene da lui devoluto interamente per la carità verso i poveri. Diviene nel contempo anche commendatario delle abbazie dei Santi Felino e Graziano ad Arona, di San Silano di Romagnano e priore commendatario di Santa Maria di Calvenzano.

Nel 1559 suo zio Giovan Angelo Medici di Marignano, fratello di sua madre, viene nominato pontefice, con il nome di Pio IV. Carlo si trasferisce a Roma e viene nominato cardinale a poco più di vent’anni (suo fratello Federico, invece, diventa segretario privato, ma morirà nel 1562). Egli, dopo essersi fatto ordinare sacerdote e vescovo (non seguendo il consiglio di chi gli suggeriva di sposarsi e avere dei figli per evitare che la dinastia familiare si estinguesse), ancora giovane fa riaprire il concilio di Trento, per poi mettere in atto la riforma tridentina nella diocesi ambrosiana. Dedicandosi a una vita di ascetica povertà, si impegna nella riforma dei costumi e cerca di porre in evidenza l’importanza del culto esteriore, composto da processioni, preghiere e riti liturgici, utili a ravvivare l’identità cristiana e la fede tra i ceti più popolari.

Nel 1563 è inviato sulla Cattedra di Sant’Ambrogio di Milano, una diocesi vastissima che si estende su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Un territorio che il giovane vescovo visita in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fonda seminari, edifica ospedali e ospizi. Utilizza le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Inoltre, riforma l’ordine degli Umiliati, allontanatosi dal cattolicesimo e avvicinatosi al protestantesimo: deve anche subire un attentato da parte di alcuni esponenti, che vengono poi giustiziati. In Svizzera contrasta il protestantesimo (a dispetto delle Diete di Ilanz che avevano sancito nella Repubblica delle Tre Leghe la libertà di culto), secondo i dettami del Concilio tridentino. In occasione di una visita pastorale in Val Mesolcina ordina l’arresto di oltre cento persone, accusate di stregoneria; le torture che seguono inducono quasi tutti a lasciare il protestantesimo.

Durante la peste del 1576 assiste personalmente i malati, dedicandosi con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto: Humilitas. Muore a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584. Il suo culto si diffonde rapidamente fino alla canonizzazione fatta nel 1610 da Paolo V e preceduta nel 1602 dalla beatificazione. La ricorrenza cade il 4 novembre.

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