Lingua & tradizioni piemontesi

Modi di dire piemontesi: “tupin”, anche “ëd la malva”

Il termine piemontese “tupin”, oltre ad indicare una piccola stoviglia in terracotta immancabile nelle cucine d’antan, può talvolta nascondere insospettabili significati ironici e pungenti, come nella locuzione “tupin ëd la malva”. Ecco che cosa vuol dire…

Il “tupin” piemontese (o “fojòt”) è un “pignattino” in terracotta ad un solo manico, ideale per scaldare pietanze, salsine, intingoli, bagne càude et similia. Il termine, tipicamente subalpino, e di probabile etimologia celtica, ha degli equivalenti con assonanze simili in molte lingue sorelle del piemontese, come il provenzale (topin) e il francese (tupin) e persino nella lingua tedesca (topf). È stato, e ancora costituisce, un elemento irrinunciabile tra le stoviglie e il vasellame da cucina, e si distingue nettamente dalla “tupin-a”, che invece è una pignatta molto più grande, dotata di due manici, insuperabile per la cottura dei fagioli con le cotiche.

Il pignattino di terracotta a un solo manico è detta tupin

Una via di mezzo tra il “tupin” e la “tupin-a” è la “tupinëtta”, che è anch’essa dotata di due manici, ma ha dimensioni più contenute. Appena più piccolo del “tupin” è invece il “tupinèt”, un pentolino di terracotta ideale per i bagnèt, o per riscaldare mini razioni di pietanza. In ogni caso,  messi in fila gli uni accanto agli altri, “tupinèt”, “tupin”, “tupinëtte” e “tupin-e” sembrano costituire un’affiatata famigliola di terraglie, dal componente più grande a quello più piccolo, tutti belli smaltati e lucenti, pronti a fare il loro dovere in cucina alla bisogna.

Ma attenzione: “tupin” non è, in realtà, una parola univoca, perché può assumere una pleiade di significati, taluni buffi e intuitivi, altri più metaforici, con nuances che possono persino sconfinare nell’offesa.

C’è infatti una nomenclatura vastissima legata a questo oggetto: intanto, chi fabbrica o vende i “tupin”, non può che chiamarsi “tupiné”. E poi, bisogna distinguere da un tupin all’altro: del tupin, esistono infatti infinite forme e varianti, alcune delle quali non saranno mai utilizzate in cucina: è il caso dei “tupin bòrgno”, che sono i salvadanai.

Variegati, e talora coloriti, anche i modi di dire legati a questa parola: avèj un tupin pien e l’àutr ch’a versa, significa averne le scatole piene. Mangé e caghé ant l’istess tupin, indica un utilizzo promiscuo e poco igienico dell’oggetto.  Un tupin può essere anche una persona dal fisico tracagnotto e sgraziato, oppure un personaggio piuttosto ingenuo e credulone. Del resto, e a conferma di quest’ultima accezione, nella lingua piemontese esiste la parola “tupinada”, che sta per sciocchezza, cavolata.

Per finire, chiudiamo questa breve disamina sul termine “tupin” con l’espressione “tupin ëd la malva” (o “tupin ëd la riondela”), una locuzione tipicamente piemontese che forse qualcuno avrà, almeno una volta, ascoltato dalla bocca dei propri nonni o bisnonni.


La malva è un’erba officinale dalle note proprietà calmanti

Essere un “tupin ëd la malva” significa essere qualcosa di più (in negativo) di un semplice “tupin”. Prima di tutto perché “tupin”, in questa locuzione, sta per tontolone (se non addirittura per fesso), e poi perché la “malva” (detta anche “riondela” in piemontese), com’è noto, è un’erba officinale dalle note proprietà calmanti, corroboranti e rilassanti. Provate a somministrare ad un tontolone una tazza di tisana alla malva: lo renderete ottuso del tutto e forse si addormenterà già al primo sorso.

Fascino irresistibile di una lingua dalle mille nuances che non deve morire: il piemontese.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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