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Modi di dire piemontesi: l’amis dij persi, chi sarà mai costui?

“L’amis dij persi”, letteralmente “l’amico delle pesche” (c’è anche la variante “mè amis dij persi”, ovvero “il mio amico delle pesche”), è una frase idiomatica che potrebbe approssimativamente avvicinarsi – nel significato – all’espressione italiana “amico del giaguaro”.

Capiranno cosa voglio dire soprattutto coloro che appartengono, come me, a quella generazione che ricorda l’omonima trasmissione televisiva in bianco e nero, di rivista e intrattenimento, che veniva brillantemente condotta dallo straordinario trio di mattatori Marisa Del Frate, Gino Bramieri, e Raffaele Pisu.

I conduttori della trasmissione “Gli amici del giaguaro”: Gino Bramieri, Marisa Del Frate e Raffaele Pisu

Un amico, dunque. Poco affidabile, però. Un amico che ritrae la mano quando gliela porgi, un amico che afferma di condividere le tue idee, ma di fatto le critica e le osteggia, un amico che non ti incoraggia, che non esprime mai un apprezzamento per il tuo operato, quando sarebbe invece opportuno, salvo ad essere il primo a criticarti bruscamente alla prima svista veniale… Un amico così, che amico è? N’amis dij persi, per l’appunto.

L’espressione viene anche usata nel senso di lupus in fabula, per indicare stupore e sorpresa, quando sulla scena, e inaspettatamente, entra una persona di cui – guarda caso –si stava parlando tra amici: “Vardlo-sì mè amis dij persi!”

La lingua piemontese (come spesso accade per molte altre parlate regionali) è più arguta di quella italiana: ricorre spesso a sottili metafore. E proprio come la buccia pelosa di certe pesche di una volta – buccia che al tatto poteva offrire sensazioni strane (oggi gli interventi di genetica han fatto sì che le pesche siano tutte levigate!) – proprio come la buccia pelosa, dicevo, anche certe locuzioni verbali possono essere urticanti o creare effetti… indesiderati.

Ricordo che, quando ero bambino, mia mamma mi spazzolava la pesca prima di offrirmela come frutto a fine pasto, così che potessi maneggiarla, morderla o tagliarla, senza provare al tatto una sensazione non piacevole.

Ma come nasce allora l’espressione amis dij persi? Chissà. Forse il nostro “amico delle pesche” era un venditore di pesche il cui sapore non era un granché, oppure un fruttivendolo che imbrogliava sulla pesata, e alla lunga finì per perdere la fiducia di tutti i suoi clienti. 

Che relazione ci possa poi essere tra una pesca e un giaguaro, beh, questo non ve lo so proprio dire. Ciò che posso aggiungere è che “l’amico del giaguaro” sta sempre sul carro del vincitore, sempre dalla parte del più forte, e non esita a tradirti per consegnarti nelle grinfie di quest’ultimo. In ogni caso, io non darei in cambio un quintale di pesche non spazzolate per un solo cucciolo di giaguaro inferocito.

L’articolo finisce qui, ma se ne avete voglia, potete leggere ancora questa mia poesia in piemontese, ispirata al modo di dire di cui vi ho appena parlato in questo articolo. Il glossario vi può aiutare a comprendere il significato delle parole più rare:

L’amis dij persi

L’amis dij persi sempre a l’ha ’l soris,
ma ’nt soa cavagna, ij persi i-j treuve nen:
bochèt d’invidia e na pugnà ’d gramissia,
e soe paròle brusche a son velen.
A rumia ’ndrinta, come un can an gesia;
combin ch’a disa: “Mi, a j’amis veuj bin!”
mai n’incoragiament, mai ch’a t’apresia:
e sempre ’l pluch ant l’euv at va a cerché.
A parla come a parlo ij professor…
peui at sorid con n’andi da anciové.
’S sà nen s’a fa ’l travaj ëd l’artajor:
a diso ch’a fà j’ò con j’ambossor.
At fà la ponta, at crìtica, a barbòta…
L’é pes che n’aso: amis sensa valor.

Glossario

persi: pesche; cavagna: cesta; bochèt: mazzolini; pugnà: pugno (inteso come quantità); gramissia: cattiveria; a rumia: rumina, rimugina; brusche: acide, brusche, ma anche: dirette, senza tatto; gesia (o cesa): chiesa; apresié: apprezzare; pluch ant l’euv: pelo nell’uovo; andi: modo; anciové: venditore di acciughe; artajor: droghiere, pizzicagnolo, anche salumiere; ambossor: imbuto; fé la ponta: andar per il sottile, non transigere; a barbòta: brontola; aso: somaro.

Sergio Donna

Torinese di Borgo San Paolo, è laureato in Economia e Commercio. Presidente dell’Associazione Monginevro Cultura, è autore di romanzi, saggi e poesie, in lingua italiana e piemontese. Appassionato di storia e cultura del Piemonte, ha pubblicato, in collaborazione con altri studiosi e giornalisti del territorio, le monografie "Torèt, le fontanelle verdi di Torino", "Portoni torinesi", "Chiese, Campanili & Campane di Torino", "Giardini di Torino", "Fontane di Torino" e "Statue di Torino". Come giornalista, collabora da alcuni anni con la rivista "Torino Storia". Come piemontesista, Sergio Donna cura da tempo per Monginevro Cultura le edizioni annuali dell'“Armanach Piemontèis - Stòrie d’antan”.

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